Desiderio infinito! Capitolo 18 (Parte quinta)

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In compagnia di questi tristi pensieri, Valeria, dalla casa paterna si accingeva a tornare alla propria col piccolo Marco.
L’indomani, durante le ore di «scuola» del figlio si sarebbe recata al cimitero. Avrebbe stabilito un giorno fisso alla settimana da dedicare a questo culto funebre, perché da quando era morto il marito, non lo aveva assolto che sporadicamente, soprattutto per mettere a posto la nuova casa, che aveva richiesto molta fatica.
Ripensò ad Emily, come per rinfrancarsi e provò una grande dolcezza ricordando la promessa fattale da lei, di ritornare il prossimo anno. Stava baciando la madre in segno di saluto, quando arrivarono i soliti ospiti, per riprendere contatto con Simone, il quale, con le chiare allusioni al nefando comportamento dei nazisti, aveva destato in essi una curiosità degna di essere soddisfatta.
Pregata dagli altri, si trattenne ancora.
Simone stava raccontando da circa un’ora le cose che aveva visto fare dai nazisti in Germania ed il suo piccolo pubblico di ascoltatori familiari, non era ancora soddisfatto. Le domande fioccavano senza posa, perché ciascuno voleva sentire dal vero quello che in fondo c’era di ignominoso nella politica e nel fanatismo del Fùrher.
Il segretario comunale era quello che ne soffriva di più, per il grande attaccamento ch’egli aveva sempre sentito per il nazi-fascismo, con una fede che adesso stava tramutandosi in una bolla di sapone.
«Io vorrei sapere…» — azzardò il segretario, rivolgendosi a Simone — «Io vorrei sapere, mi scusi dottore, come ha fatto lei per rientrare in Italia, fidanzato com’era con una impiegata nazista, e per lasciare il posto importante che lei stesso aveva in quel famoso laboratorio di chimica… Quella Clorinda… Clotilde… come si chiama? Non ha tentato di impedirglielo?».
«No affatto» — rispose Simone — «Clotilde è una donna intelligentissima e molto realistica. Si era bene accorta ch’io ero di pasta diversa, che non avrei mai potuto accettare quella vita condizionata totalmente dal regime nazista. Eppoi mi amava sinceramente.
Credetemi, non tutti i tedeschi sono poi così assurdi e fanatici. Clotilde era buona di animo; in principio aveva fermamente creduto nella bontà del sistema nazi-fascista, in una dottrina che si autodefiniva redentrice della nazione. Alla fine rimase coinvolta in pieno, insieme coi fratelli, tutti esponenti importanti nella pastoia della politica. Tirarsi indietro significava autodistruggersi.
Non mi avrebbe fatto partire se le cose fossero rimaste ad un certo livello… Un giorno, invece, i fatti precipitarono brutalmente ed io divenni consapevole della vera attività di lei e dei fratelli.
Allora capì che non sarei più rimasto, che avrei tentato la fuga anche correndo estremo pericolo e non solo si convinse, ma mi aiutò a tornare in Italia».
«Straordinario!» — fecero gli altri ad una voce.
«E che cosa veniste a sapere?» — chiese il giovane Piero, cognato di Valeria, che, dopo la morte di Marco, non riusciva a stare un giorno senza vedere e vezzeggiare il nipotino.
«Raccontate, raccontate!» — incalzavano tutti e Simone ricominciò con una voce strana, che faceva intuire lo sforzo ch’egli faceva su se stesso, per parlare di argomenti certamente incresciosi.
«Spesso Clotilde riceveva delle misteriose telefonate, di cui non mi rivelava mai il contenuto. Eludeva le mie domande, che non erano aggressive, ma crescevano in frequenza, per lo strano comportamento di lei. Spesso, dopo una telefonata di questo genere, scappava via, anche se doveva rinunciare a me, perfino se mi vedeva crucciato. Diceva: “E’ il partito che mi chiama. Non si può e non si deve dire di no!”».
Un giorno decisi di andare con lei; fece di tutto per dissuadermi: erano cose seccanti; io mi sarei annoiato; si sarebbe sbrigata subito e sarebbe tornata per passare con me tutta la serata.
Io insistetti caparbiamente; allora ella batté forte un piede a terra, facendo rumore col tacco dello stivale, in preda ad un vero e proprio attacco isterico. Io non mollai; ormai volevo capire chi ella fosse realmente e che cosa si nascondesse sotto il suo ambiguo atteggiamento. Sconfitta totalmente dalla mia fermezza, disse: Vieni pure; tanto peggio per te!”.
Davanti al portone della sua casa era ferma un’autoblindata, sulla quale mi fece salire, salendo a sua volta e tenendo gli occhi fissi lontano, per non guardarmi. Mi portò in una boscaglia alquanto rada di alberi e mi pregò di rimanere seduto ad attenderla, perché si sarebbe sbrigata subito: si trattava di un semplice controllo.
“Controllo di che?” — chiesi impietoso e spazientito.
(Continua…)