SEGNI DELLA SCRITTURA DEL NOVECENTO ERMETISMO, ESIGENZA DEL NUOVO UNGARETTI E MONTALE (parte prima)

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cop lineam lett criticaL’Ermetismo rappresenta la misura della nostra civiltà novecentesca, che, staccandosi dai residui influssi ottocenteschi dell’arte, della poesia e della letteratura, si apre, con una propria crescente autonomia, nell’arco di tempo che va dai primi del Novecento fino alla seconda guerra mondiale ed anche oltre. L’esigenza di un rinnovamento in senso d’arte percorreva già tutta l’Europa, specialmente la Francia, che con Mallarmé aveva fatto suo il criterio di una poesia preziosa per la costante ricerca della parola “pura”, riluttante ad immedesimarsi con i fatti della storia, della cronaca, della vita sociale. Fu una forma di ripudio dell’occasionale, del banale, che stringeva in una morsa la coscienza artistica di tutta Europa, generando quella crisi che si sarebbe presto trasferita nella poesia, come negazione di ogni facile ottimismo e affermazione di instabilità psichica, per la mancanza assoluta di certezze su cui costruire un immediato avvenire. La poesia sarà la fatale rivelazione della precarietà dell’uomo collocato in un universo negativo, che offre solo visioni terrificanti di solitudine. La stessa natura non è, come si voleva credere, lo spazio libero dove poteva allignare l’esperienza scientifica, ma diviene un’ossessiva molteplicità di simboli da interpretare e, possibilmente, da esorcizzare. La visione del mondo si individualizza, in modo che riesce difficile, addirittura nulla, la possibilità di comunicare con gli altri. ‘L’uomo è solo di fronte al suo deserto: non un cordiale accordo con i propri simili, non la possibilità di un abbandono salvifico al sentimento. “La morte si scontai vivendo”, dirà Ungaretti, esprimendo felicemente lo stato d’animo più infelice ‘dell’uomo del primo novecento. E sono proprio le poesie di Ungaretti, quelle di guerra, che testimoniano della desolazione in cui si adagia, senza volontà di formulare inutili speranze, l’uomo del tempo. Secondo la critica ufficiale fu proprio Ungaretti a coagulare il nucleo della formazione di tal genere di poesia con le sue prime opere: Il porto sepolto (1916), Allegria di naufraghi (1919), La guerra (1919). Troviamo nelle sue poesie, specialmente quelle del periodo francese della guerra, una tecnica essenziale che non ha più niente da vedere con le forme retoriche della tradizione ottocentesca; essa vive tutta nella folgorazione della parola-immagine, finalmente libera da qualsiasi fronzolo, avulsa dal peso della consuetudine letteraria e sociale, “nuova e vergine, pura sostanza”, la cui pronuncia sia forte ed immediata e la sintassi sia il ritmo stesso dell’espressione. Nei brevi componimenti la dizione risuona forte e sincera, in una struttura analogica lucida ed incisiva, da cui la espressione si rinnova sulla verginità primigenia dell’arte. Fu detto della sua prima poesia che egli «distruggeva” il verso tradizionale, portava alle conseguenze estreme il principio della metrica, come dato espressivo e non soltanto tecnico, identificava la parola con il verso, con l’istantaneità del grido, con la durata del metro: e il maggiore sforzo stilistico si appuntava nella potatura di tutte le forme di congiunzione, di subordinazione, di discorso logico continuato, di esplicazioni delle immagini e nel respingere la lingua letteraria come corpus di nozioni grammaticali e sintattiche, per lasciare sussistere solo “l’essenzialissima sintassi della visione”.
Ed invero questo poeta, come sospeso tra cielo e terra, sente, come scrive, le lacerazioni inferte al suo spirito dalle pene della guerra col pensiero della morte costante ed incombente. “Si sta come/d’autunno! sugli alberi! le foglie”.
(Continua…)