Il Messia di Haendel venerdì 16 al Duomo per Salerno Classica.

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Secondo appuntamento per il Dicembre Sacro di Salerno Classica, promosso dall’Associazione Gestione Musica, guidata dal cellista Francesco D’Arcangelo, che la porta a spaziare tra i diversi generi musicali e prestigiosi ospiti, puntando a recuperare i valori della musica in un’ottica di dinamicità, innovazione, esperienza e dialogo, che ha portato la direzione ad ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo per un triennio.

Venerdì 16 dicembre nel Duomo di Salerno, alle ore 20,30, in un concerto in collaborazione con la “Fondazione Comunità Salernitana”, presieduta da Antonia Autuori verranno eseguiti i primi 18 numeri dell’oratorio “Messiah” di Georg Friedrich Haendel, con solisti, il soprano Romina Casucci, il contralto Simona Guerrini, il tenore Stefano Sorrentino e il basso Raffaele Pisani, con i cori “Alfredo Casella” ed “Estro Armonico” preparati da Silvana Noschese, Caterina Squillace ed Eleonora Laureto e l’ Orchestra ICO 131 della Basilicata, tutti diretti da Francesco D’Arcangelo. Il Messiah fu scritto da Haendel al compire dei cinquantasei anni, nel 1741. Haendel aveva una grandissima esperienza di teatro per musica e di musica oratoriale. Il suo Messiah sembra una grandissima pagina di teatro situata in una cornice formale che non appartiene affatto al teatro. Ma il fatto musicale è splendore di tinte in scena, di luci che inseguono eventi, dalle voci, resi plastici. Si può fare teatro con un’idea della venuta del Cristo in terra, e dell’energia che quella venuta ha liberato? Haendel ci dice che è possibile, senza che quel grande evento ne sia diminuito di senso. Anzi, ne risulta potenziato per un’espansione figurale, pur trattandosi di musica. Concepito per un teatro “mortificato” nella sua vocazione spettacolare, l’oratorio fa ammenda attraverso una “rappresentazione” evocata per occhi visionari e menti suggestionabili, rivelando le potenzialità del compositore di fare “teatro” con la sola arte dei suoni. Sulle “ceneri” dell’interrotto sodalizio con l’opera nasce il Messiah HWV 56 nel 1741, anno all’insegna di grandi sommovimenti nella vita del compositore tedesco che dà l’addio alle scene melodrammatiche concludendo, con la messinscena della Deidamia, un’esperienza strepitosa e contraddittoria. L’oratorio in tre parti per soli, coro e orchestra è concepito nel corso dell’estate, in un breve lasso di tempo; una manciata di settimane basta a Händel per allestire una partitura alla quale il suo nome è indissolubilmente legato. Il 22 agosto ha inizio l’impresa che si conclude il 14 settembre, le tre parti della monumentale pagina sono datate rispettivamente 28 agosto, 6 e 12 settembre.

La folgorante scrittura è alimentata dal testo approntato da Charles Jennens, già redattore dei testi Saul (1738) Israel in Egypt (1738) L’Allegro, il Pensieroso ed il Moderato (1741), su materiali tratti dalla Bibbia di re Giacomo nota in Inghilterra come Authorized Version – l’edizione contiene la traduzione ufficiale delle Sacre Scritture secondo l’interpretazione della chiesa inglese dopo lo scisma da Roma – e dal Book of Common Prayer che riunisce testi di quotidiana devozionalità. L’intellettuale assembla i vari materiali preesistenti pervenendo ad un equilibrato e ben congegnato prodotto. Le prime pagine offrono un impatto assai forte e introducono a una partitura che sarà all’insegna della varietà; per le diverse arie il Sassone ricorre a tutto il campionario formale, da quelle bipartite a quelle tripartite con da capo e dal segno, da quelle in sezioni giustapposte a quelle che avviate dal solista sono poi concluse dal coro. Non sorprendono  pagine ascrivibili ai più collaudati ritrovati melodrammatici, come nell’aria AA’B dal segno (AA’ senza il ritornello strumentale iniziale). L’amplificazione di immagini è affidata alle magie melismatiche copiosamente contenute nei ricchi “bauli” degli artisti, sia per lumeggiare occorrenze “pittoriche” sia per descrivere impalpabili affetti, senza tralasciare quei passaggi poetici che nell’economia drammatica meritano un respiro maggiore. A tal proposito si rinvia al «born» contraddistinto da fioriture nel coro «For unto us a Child is born». Per questa pagina corale Händel ricorre alla pratica dell’autoimprestito utilizzando il recente materiale del duetto No, di voi non vo’ fidarmi, HWV 189, ma a questo costume, assai invalso al tempo, deve alcune pagine il Messiah,. Si pensi, tra l’altro, al duetto Quel fior che all’alba ride HWV 192 (nei cori «And He shall purify» e «His Yoke is easy»), alla Sonata a tre in do maggiore HWV 403 e al duetto Se tu non lasci amore HWV 193. Il coro «For unto us a Child is born» apre la sezione conclusiva della prima parte e introduce al magico brano strumentale contraddistinto dal titolo Pifa. Questa pagina pastorale in 12/8, la cui melodia è di chiara ascendenza italiana (come non ravvisare il baluginare di melodie natalizie tuttora familiari?), inaugura l’unico segmento testuale storico che narra della nascita di Gesù. Lo stile pastorale ricompare dopo poco nel duetto «He shall feed His Flock like a Shepherd». La successione recitativo semplice – recitativo accompagnato – recitativo semplice – recitativo accompagnato – coro – aria – recitativo semplice – duetto – coro scandisce i momenti salienti di questa narrazione con quella sapienza che è la cifra dell’autore: la notte santa si materializza in uno sfavillante volo di angeli e di sonnolenti pastori che attoniti partecipano alla gloria celeste. Il brano è in climax ascendente e la prima sezione culmina nel grande coro «Glory to God», dove compaiono nell’organico le trombe. Lo svanire delle schiere angeliche è pressoché evanescente nell’assottigliarsi dell’organico strumentale a cui segue la lussureggiante aria (per la prima volta appare nella sua forma più articolata) del soprano «Rejoice greatly». Dopo il duetto, in cui ritorna il carattere pastorale, la prima parte si chiude con il festoso coro «His Yoke is easy».