Qualcuno si ricorda di Creeper? 50 anni fa nasceva il primo worm della storia dell’informatica

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Quando si fa riferimento all’informatica, non si parla solo di componenti elettroniche.

Sarebbe bene ricordare che questo vasto universo composto da CPU, schede audio, schede video, schede madri, SSD, hard disk e chi più ne ha più ne metta, non è tutto rose e fiori come una mente poco esperta potrebbe pensare.

 

Come non può esistere una rosa senza le spine, in altrettanto modo non può esistere un computer senza i virus.

 

Ma come sono nati i primi malware della storia? Chi li ha programmati? E soprattutto perché?

 

Il primo malware della storia non sarebbe corretto definirlo comunemente un “Virus” ma, bensì, più propriamente un worm, ossia un programma in grado di replicarsi da da solo.

Ebbene, dal giorno della sua prima entrata in scena, sono passati cinquant’anni, anche se il concepimento della sua idea è ben più datato.

 

Infatti, il primo ad immaginare una entità che avesse la proprietà di replicarsi da sola all’interno di un computer fu uno dei padri fondatori di questa medesima scienza: lo scienziato tedesco John Von Neumann.

Naturalizzato americano dopo la Seconda guerra mondiale, Von Neumann fu in grado già negli anni Quaranta del secolo scorso di sviluppare la teoria degli “automi che si riproducono da soli”, un contributo fondamentale per la scienza informatica.

 

Ovviamente, all’epoca i computer praticamente non esistevano ancora, né tantomeno l’idea di un worm come lo intendiamo oggi poteva anche lontanamente sembrare plausibile; eppure l’idea nacque da lì, in quel contesto dove la teoria si faceva largo nonostante la pratica non fosse ancora in grado di starle al passo.

 

Inoltre, ai tempi i primi elaboratori elettronici non erano ancora connessi, quindi l’idea di un software capace di replicarsi in autonomia, era già di per se insensata perché non avrebbe avuto alcun habitat dove espandersi.

 

Per trovarsi di fronte al primo vero worm, bisogna fare un salto in avanti di un po’ di anni e aspettare sia l’evoluzione dell’informatica, che la nascita delle reti su protocolli standard.

E’ in questo contesto, nel pieno del secondo dopoguerra, che si sviluppa il primo Creeper.

 

Il nome deriva dall’inglese e potrebbe essere tradotto in “pianta rampicante” ma, potrebbe anche indicare una cosa che striscia.

Si trattò di un esperimento attuato dall ingegnere informatico Bob Thomas, con l’obiettivo di scrivere un programma capace di autoreplicarsi copiando se stesso su un altro computer, per poi lasciare dietro di sé una traccia inconfondibile e piuttosto facile da interpretare: “I’m the Creeper, catch me if you can!”.

 

La rete su cui Creeper strisciava si chiamava Arpanet (acronimo di Advanced Research Projects Agency Network) che consisteva in un network sperimentale costruito con i fondi dell’agenzia Arpa del Dipartimento della Difesa Statunitense. Fu la prima rete geograficamente distribuita capace di utilizzare un meccanismo di commutazione a pacchetto; potrebbe essere definita a tutti gli effetti la madre della moderna internet!

 

Gli americani si presero la briga di svilupparla per mettere a fattor comune le risorse informatiche dei maggiori centri di ricerca accademici distribuiti su tutto il territorio.

 

Si trattò di uno dei tasselli fondamentali di un ben più ampio sforzo messo in campo dalla nazione per recuperare il gap tecnologico nei confronti dell’Unione sovietica, che intanto negli anni Cinquanta aveva già inviato in orbita il primo satellite artificiale (lo Sputnik) dimostrando una certa superiorità in ambito spaziale, potenzialmente pericolosa per le sorti belliche degli Stati Uniti.

 

Fu senza ombra di dubbio un rischio molto importante da prendere durante il periodo della Guerra fredda.

 

Per costruire Arpanet furono fondamentali diverse figure tra giovani ingegneri e programmatori, tutti coinvolti in un’opera lavorativa che non poneva loro alcun limite di creatività.

Man mano che venivano sviluppati i protocolli per la rete di connessione ed i vari software per fare posta elettronica, trasferimento fili, accesso remoto e via dicendo, si andava a delineare un’impresa che aveva tanti punti in comune con quelli di una moderna startup.

 

L’idea da cui partì Bob Thomas era quella di creare un esperimento scientifico controllato, dimostrando ai suoi pari quanto fosse bravo mediante un prodotto software sperimentale che non ambiva a diventare una minaccia.

 

Infatti, a tutti gli effetti, Creeper quella minaccia non la costituì mai.

A parte il lasciare un messaggio, Creeper non faceva nessun tipo di danno, si replicava e si espandeva e basta.

 

Fu la seconda versione di Creeper, scritta in un diverso momento da Ray Tomlinson, lo stesso autore della chiocciola per l’email, a spedire una copia del proprio codice sugli altri computer che, per essere eliminata, richiedeva l’apporto di un antivirus.

Perciò, ne nacque uno e venne chiamato Reaper, che sta per “mietitore”, l’incaricato a rimuovere il codice incriminato.

 

Per sentir parlare del primo vero e proprio Virus, invece, dovremo aspettare circa un altro decennio, nel 1982.

Si chiamava Elk Cloner, sapeva attaccare i dispositivi Apple II ed il suo autore, Richard “Rich” Skrenta, aveva solo 15 anni.