“L’arte al femminile”:  Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo raccontate da Anna Signorino al “Parco Storico Sichelgaita”.

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“Dipingo la realtà non i miei sogni”. In questa frase è racchiusa l’essenza dell’arte della pittrice messicana Frida Kahlo che è stata raccontata dalla professoressa Anna Signorino, già docente d’italiano, latino e storia, con la passione per l’arte trasmessagli dal fratello: il famoso pittore salernitano Paolo Signorino, scomparso nel marzo 2015. La professoressa Signorino ha raccontato che l’arte di Frida Kahlo nasce dal dolore:” La sua fu una vita difficile, fatta di dolori e sofferenze, ma anche di grandi passioni: quella per l’arte e la pittura e  quella per Diego Rivera, il  suo amore impetuoso che lei definiva “la mia bella faccia di rospo”.  Grazie alla sua arte Frida Kahlo è stata e resta tutt’oggi una delle figure femminili più interessanti e segnanti del Novecento”.  Durante l’incontro, organizzato nel grande salone della Pinacoteca Provinciale di Salerno dalla professoressa Clotilde Baccari Cioffi,  presidente dell’associazione culturale “Parco Storico Sichelgaita”, la professoressa Signorino ha raccontato , attraverso delle slide proposte dal dottor Massimo Zega,  alcune delle opere di Frida Kahlo  ispirate anche dalla sua condizione fisica  che la costringeva a stare a letto per lunghi periodi:” Dipingeva sul letto guardandosi in uno specchio. Più di 200 dei suoi quadri sono autoritratti. Era la musa di se stessa perché “sono la persona che conosco meglio”, diceva”.  La Signorino ha raccontato che Frida Kahlo nacque nel 1907 a  Coyoacàn, Città del Messico:” Decise però di cambiare la sua data di nascita al 1910, anno della rivoluzione messicana: diceva di essere figlia della Rivoluzione.  A sei anni si ammalò di poliomielite che le causò danni gravissimi alla gamba destra. Un grave incidente stradale cambiò per sempre la sua vita: nel 1925, a Città del Messico, un tram sventrò il bus dove si trovava Frida insieme al fidanzato Alejandro. Lei, che aveva appena compiuto diciotto anni, venne trafitta dal corrimano del bus che le attraversò la colonna vertebrale. In quello spaventoso scontro persero la vita alcune persone”.  Anna Signorino ha spiegato che Frida fu molto apprezzata nel mondo artistico e politico degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta e  che negli anni Settanta divenne un’icona del femminismo:”  Frida Kahlo  ha lottato contro il suo dolore e la sua sofferenza attraverso la sua arte. Diceva: “Ho cercato di affogare i miei dolori, ma loro hanno imparato a nuotare”.  L’altra artista raccontata da Anna Signorino è stata Artemisia Gentileschi.  “Frida e Artemisia sono due figure eccellenti che fanno onore all’arte e al genere femminile”, ha sottolineato la Presidente Clotilde Baccari Cioffi che ha presentato la professoressa Antonietta Rocco,   che ha letto una delle trentasei lettere scritte da Artemisia Gentileschi per il suo amante,   e dei versi  di Frida Kahlo scritti per il suo grande  amore Diego.

Di Artemisia Gentileschi  la professoressa Signorino ha raccontato che:” Nonostante  si  sia saputo poco  di lei per molti secoli,  è stata rivalutata negli anni settanta  del novecento, nel periodo del femminismo. La sua vita è stata molto travagliata: ha vissuto nella Roma seicentesca, barocca e Caravaggesca, figlia del pittore Orazio Gentileschi che aveva avuto Caravaggio come maestro. Artemisia, fin da bambina aveva mostrato la sua predilezione per la pittura. All’età di 17 anni , nel 1610, dipinse il suo piccolo capolavoro: “Susanna e i vecchioni”. Artemisia, oltre al padre, ebbe come maestro il pittore Agostino Tassi che la stuprò quando lei aveva diciotto anni. Contro di lui fu intentato un processo da Orazio Gentileschi alla fine del febbraio 1612, a Roma, che durò cinque mesi. Agostino fu condannato a una pena lieve: l’esilio. Per la prima volta nella storia una donna riuscì a far condannare il suo stupratore. Artemisia, a differenza delle altre donne pittrici dell’epoca, che dipingevano paesaggi e nature morte, amava dipingere su grandi tele le sue donne eroiche ispirate dai personaggi della storia e della Bibbia.  Nel 1620 dipinge “Giuditta che decapita Oloferne”:  un dipinto a olio su tela conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze  che è un riferimento alla violenza subita da Artemisia”. La professoressa Signorino ha anche ricordato il saggio scritto nel 1916  dallo storico dell’arte Roberto Longhi che definì Artemisia :”L’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità” e raccontato delle lettere  scritte, in modo un po’ sgrammaticato da Artemisia:” Era quasi analfabeta, le inviò al suo appassionato  amante fiorentino, Francesco Maria Marenghi, che era un letterato e un collezionista. Tra di loro ci fu un grande amore”. (Foto di Massimo Zega).

Aniello Palumbo