Non si sente una diva e nemmeno un’icona. Ma indiscutibilmente lo è. Una carriera straordinaria, decine di ruoli entrati nella storia del cinema, ma soprattutto un messaggio forte e luminoso: credere nei propri sogni, sempre, anche quando fanno paura. Ornella Muti, stella senza tempo del cinema, accoglie le domande dei Giffoner in Sala Truffaut con grande semplicità, con la voglia di rispondere, senza filtri, senza riserve. Così come ha affrontato e vissuto tutta la sua straordinaria carriera. “Non sono una diva. Non ho mai pensato di diventarlo – risponde a chi le chiede come ci si sente ad essere un’icona – In realtà, non desideravo nemmeno fare l’attrice: è successo. Sono stata travolta dagli eventi. Mi sono affidata ai registi. Non avevo una formazione, ma avevo fiducia in loro”.
Ripercorrendo i suoi esordi, ha ricordato quanto sia stata fondamentale la generosità di registi e colleghi: “Non avendo una preparazione tecnica, mi sono affidata. Penso a colleghi come Tognazzi, agli straordinari registi con cui ho avuto l’onore di lavorare, ti prendevano per mano. Imparavo osservando, lasciandomi guidare da chi credeva in me.”
Alla domanda su cosa direbbe oggi alla giovane Ornella, ha risposto con lucidità: “Avevo tanta paura. Ero spaventata. Ma oggi le direi: non avere timore di osare. Se non proviamo a sognare, diventiamo piatti. I sogni nutrono l’anima, nutrono il cuore”
E ai giovani presenti ha lanciato un invito potente: “Mai avere paura di essere sé stessi. Siamo tutti diversi, gemme preziose con una luce propria. Stacchiamoci dal gregge, diciamo no quando è giusto dirlo. Anche se costa”.
Ed è un dialogo intimo quello che Ornella Muti intesse in particolare con le ragazze presenti in sala. Lo spunto arriva dal suo film d’esordio, “La moglie più bella” di Damiano Damiani ispirato alla storia di Franca Viola, la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore: “Ho interpretato sempre donne che avevano qualcosa da dire. Ognuna è una gemma del mio gioiello. Nel mio film d’esordio ho raccontato la storia di Franca Viola, una ragazza degli anni Cinquanta che ha detto: ‘non ci sto’. Con tutti gli strumenti che abbiamo oggi, non dobbiamo mai dimenticare la forza che abbiamo dentro. Noi donne abbiamo la forza di cambiare il mondo”.
Il film a cui più è legata, il ruolo che più di tutti le è rimasto dentro? “Non potrei scegliere un solo film – risponde – Ognuno è parte di me. Sono tutte gemme preziose che formano il mio gioiello. Posso però dire che Codice privato di Maselli è stata un’esperienza che mi ha segnato perché quel film era pensato esclusivamente per me, recitavo da sola e tutto ruotava intorno a me. Ma tutti i miei film sono miei bambini”.
“Ho sempre cercato di tenere separata la mia vita privata dal lavoro. Ho scelto di avere una famiglia e di proteggerla. Alcuni personaggi ti restano dentro a lungo, come Immacolata, nello spettacolo teatrale L’Ebreo. Ho avuto il timore che Immacolata non sarebbe mai uscita dal mio corpo. Ma poi devono uscire fuori, altrimenti finisci per impazzire”.
E, poi, il rapporto con la bellezza: “Non mi sono mai sentita un’icona. Mi sento una donna normale, piena di insicurezze e paure. La bellezza è un dono, sì, ma spesso le persone si fermano lì, dimenticando che dietro c’è molto di più, c’è una persona. Ma resta un dono ed un dono non lo si può certo rinnegare”.
Ornella icona, ma Ornella è anche musa. Lo è per Sean Baker, celebratissimo regista di Anora, protagonista degli ultimi Oscar: “Quando ho incontrato Sean – dice – prima ancora che vincesse l’Oscar, mi ha colpito tanto per la sua umiltà. Mi ha detto che mi considera la sua musa e ha voluto fare un cofanetto con i miei film. Quando un regista dice queste cose di te hai vinto il premio più importante come attore. Questa è la mia statuetta. Non ho parole. È troppo bello”.
Il cinema oggi, quello di ieri, come è cambiato? Tanto, quasi tutto: “La recitazione ti nutre. Ma bisogna saper cambiare con i tempi. Oggi si corre di più, c’è meno tempo, meno poesia. Ma bisogna sapersi adattare, cambiare con i tempi. Prima c’erano i direttori della fotografia, i costumisti, i registi che ti aiutavano a fare delle scene meravigliose. Lo confesso: preferivo il cinema degli anni scorsi”.
Scelte di cui si è pentita, ruoli rifiutati, rimpianti? Mai, dice la Muti: “Non mi pento quasi mai. Credo nell’energia positiva. Voglio volare nella luce. Se una storia non vibra dentro di me, non la posso fare. Io ci metto sempre l’anima. Ho un’attitudine malinconica, arrovellarti su ciò che poteva essere e non è stato non serve a niente”.
Un provino al quale aveva accompagnato la sorella è stato il suo sliding doors. Hanno scelto lei per interpretare il film di Damiano Damiani che l’ha catapultata nel firmamento del cinema. Cosa avrebbe voluto fare? “Sognavo la danza classica – ha detto – volevo essere una ballerina. Per un periodo ho preso lezioni da un’anziana ballerina russa. Oppure volevo fare la maestra d’asilo. Amo l’innocenza dei bambini. Fortunatamente ho avuto i miei di bambini. Quando ero piccola il cinema per noi era Biancaneve, Mary Poppins. Non ci pensavo nemmeno. E poi è successo”.
Lei non si sente icona, ma una diva del cuore ce l’ha? Sì, dice senza esitazioni. E’ Veronica Lake.
Un messaggio finale ai giovani: “Dobbiamo prenderci per mano, soprattutto noi donne. La vita è un soffio. Circondatevi di persone che sono come voi. Che hanno coraggio. Anche se cadi, ci si rialza. Ci si reinventa. L’importante è non smettere mai di cercare la propria verità”.
La sala approva. Applaude. Ad Ornella Muti l’abbraccio di Giffoni e lo Special Award. Speciale proprio come la sua straordinaria carriera.
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