“La società dell’Inquisizione”. Il percorso di Dennj Solera all’interno degli ambienti dell’Inquisizione

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“E’ un vecchio di quasi novant’anni, alto e diritto, col viso scarno e gli occhi incavati, dai quali brilla ancora, come una favilla, lo sfolgorio dello sguardo. Non ha indosso i sontuosi paramenti cardinalizi, a cui ha rinunciato, ma  soltanto la sua vecchia, rozza tonaca di frate”. E’ questa l’immagine del “Grande Inquisitore”, descritta nel 1880 dallo scrittore russo Fëdor  Dostoevskij in un brano tratto da “I Fratelli Karamazov”, che molti hanno nella mente grazie ai libri di storia, a opere letterarie, a quadri o sculture, leggende e film. Ma questa immagine  negativa dell’inquisitore corrisponde alla realtà ?  A raccontarci quali furono i reali connotati di questi uomini,  tutori dell’ortodossia, che fecero  della purezza interiore e della condanna delle vanità lo scopo della propria esistenza, attorno ai quali tuttavia aleggiava un’aura sinistra, è lo studioso  Dennj Solera, assegnista di ricerca in Storia Moderna all’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna,  nel suo saggio “La Società dell’Inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio romano” , edito da “Carocci Editore”.   Dennj Solera, che da tempo si occupa di storia sociale e religiosa,  d’Inquisizione romana e  di confraternite,  nel suo saggio spiega come funzionò davvero l’Inquisizione romana, al di là della leggenda nera che ne ha connotato l’immagine .  Il volume di Solera ricostruisce l’attività ordinaria del Sant’Uffizio con particolare attenzione alla penisola italiana, dove operò a lungo un’autentica “Società inquisitoriale” composta non soltanto da giudici di fede, ma anche da consultori, avvocati, carcerieri e da centinaia di altri collaboratori, uomini che, in cambio di ampi privilegi, come quello di non pagare le tasse, permisero al tribunale di controllare l’ortodossia, la moralità e il pensiero dei fedeli fino alle soglie della contemporaneità.  Solera spiega che gli Inquisitori seguivano delle procedure ben precise prima di arrivare alla tortura e che tante erano le figure che , in una sorta di struttura geometrica razionalmente organizzata,  facevano  parte del Tribunale inquisitoriale : i  Vicari , che  erano   il vero volto dell’inquisizione; dovevano raccogliere le denunce, citare i rei, condurre gli interrogatori sino all’applicazione della tortura nei casi più ardui, arrestare i sospetti o accompagnare i prigionieri;  il  notaio o cancelliere inquisitoriale che registrava  ciò che dicevano gli eretici durante i processi; l’avvocato fiscale che si preoccupava di  gestire nel migliore dei modi la contabilità di base,  cercando di mantenere in attivo il bilancio del loro tribunale, anche attraverso  gli incameramenti dei beni degli inquisiti.  Era un privilegio far parte dell’inquisizione, e tra i professionisti dell’inquisizione  c’ erano spesso anche personaggi dell’élite, i nobili, che godevano di immunità ed erano esonerati dal pagamento delle tasse.  Vi erano poi i familiares che erano le guardie che scortavano gli inquisitori e quasi sempre erano  di bassa estrazione:  molti avevano comportamenti discutibili. Abbiamo poi i crocesignati che furono, di fatto, la longa manus del Sant’Uffizio; erano dei soldati che portavano le armi: spade, pistole, per proteggere l’inquisitore che poteva essere soggetto ad aggressioni da parte degli eretici; c’erano i patentati che avevano la patente inquisitoriale.  Solera nel suo testo spiega che è stato fondamentale , per conoscere nel dettaglio la dimensione istituzionale e giudiziaria del tribunale ecclesiastico,  l’apertura agli storici della Congregazione inquisitoriale del 1998: ” Da allora nuove analisi hanno ricostruito con maggiore attenzione la composizione interna del dicastero pontificio e la sua evoluzione nel tempo, quali furono le strutture locali del Sant’Uffizio e le sue finanze, i rapporti spesso sottili che intercorsero fra pontefici e Inquisizione, fra Inquisizione e Stati italiani, e fra inquisitori e vescovi.” La storia proposta nel libro di Solera è una storia per lo più sociale del Sant’Uffizio dal XVI al XVIII secolo, in alcuni casi sino al XIX, volta a restituire la complessità delle dinamiche interpersonali entro cui agì la corte di giustizia ecclesiastica: un vero percorso all’interno degli ambienti dell’Inquisizione.

Aniello Palumbo