“Nel mercato europeo abbiamo, nel 2024, una percentuale di immatricolazioni di vetture elettriche del 14%. La percentuale delle vetture a benzina è del 33%; delle auto diesel del 12%. tutte le altre auto sono ibride. In Italia la percentuale di vetture elettriche vendute scende al 4.2 %. In Francia l’incidenza di vendita delle auto elettriche è stata del 17%; in Germania del 13,5%; in Spagna del 5,6%. Il percorso è ormai tracciato: in Cina la metà delle immatricolazioni riguardano vetture elettriche”. A confermare che il mercato dell’automotive è orientato verso le vetture alimentate ad energia elettrica è stato il professore Davide Bubbico, Docente di Sociologia Economica presso il Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Salerno, nella sua relazione dal titolo “Il settore automotive italiano tra crisi e transizione tecnologica” esposta in occasione dell’incontro organizzato presso il “Ristorante del Golfo” di Salerno dal “Rotary Club Salerno” presieduto dall’avvocato Rino D’Alessio che ha voluto che si affrontasse un tema di grande interesse. A leggere il ricco curriculum del professor Davide Bubbico è stato il Segretario del Club, Marco Sprocati:” Il professor Bubbico, Sociologo, si occupa di sociologia dei processi economici e del lavoro. I suoi studi includono l’analisi dei processi economici e lavorativi con particolare attenzione all’’industria automobilistica e alle dinamiche sociali che influenzano il mondo del lavoro”.
Il professore potentino ha spiegato che l’Italia vantava una consolidata tradizione nell’industria automobilistica, che ha rappresentato a lungo un pilastro fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese, e che oggi tale eredità, seppur ancora presente, ha subito negli ultimi anni un significativo declino produttivo, attribuibile a una serie di fattor:” Nel 1999 l’Italia era ancora al nono posto per produzioni di auto al mondo con 1,4 milioni di veicoli. Nel 2024 produce poco più di 300mila veicoli e siamo al venticinquesimo posto. Oggi la produzione mondiale di auto si concentra per il 60% in Asia. Il ridimensionamento di un colosso come Fiat (oggi Stellantis), con la decisione di disinvestire in Italia e con la conseguente chiusura di stabilimenti e centri di ricerca, ha innescato un processo di delocalizzazione produttiva. Dal 2009 al 2024 il nostro parco auto è passato da 34 a 40 milioni di veicoli, la cui età media è passata dagli 8 anni ai 13 anni e ciò contribuisce al problema dell’inquinamento”. Bubbico ha spiegato che la crisi dell’automotive non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa:” È dovuta soprattutto ai ritardi che ci sono stati negli investimenti da parte dei costruttori europei; investimenti che invece ci sono stati e sono continuati in Cina e in altri paesi dell’Asia. Solo in parte possiamo attribuire la crisi ai provvedimenti adottati dalla Commissione Europea che ha stabilito un bando per le auto a benzina e diesel a partire dal 2035 nei 27 Stati membri dell’Unione, promuovendo così la diffusione delle auto elettriche”. Il professor Bubbico ha anche parlato del caso DR Automotive:” È un gruppo molisano che in realtà non produce le vetture che invece provengono dalla Cina e vengono sequenziate nello stabilimento di Macchia d’Isernia. Circa 25mila auto, che non sono elettriche, sono state immatricolate nel 2024 rispetto alle 32mila del 2023. L’origine di questi veicoli è: Chery Automobile, JAC Motors, BAIC Group, e Dongfeng Motor”. La crisi ha toccato naturalmente anche i dipendenti dell’ex Gruppo Fiat in Italia:” Alla fine del 2024 erano circa 74 mila i dipendenti mentre nel 2000 erano 112mila. C’è stato un calo di 38mila addetti corrispondenti ad un -33%”. Il professor Bubbico ha parlato anche dei dazi americani annunciati da Trump:” Avranno sicuramente degli effetti ma, limitatamente all’Italia poco, perché la produzione automobilistica italiana negli ultimissimi anni non ha avuto grandi esportazioni verso gli Stati Uniti: casomai il problema potrebbe averlo la casa automobilistica Ferrari che esporta la maggior parte delle sue auto all’estero e in misura significativa verso gli Stati uniti. Se consideriamo le produzioni e le esportazioni di “Stellantis” i dazi sono quasi ininfluenti. Qualche problema potrebbe averlo chi produce componenti: il vero problema dell’industria automobilistica italiana sono gli investimenti, che “Stellantis “non effettua da anni in misura dovuta, e un adeguato fondo di supporto all’industria dell’auto. Il sintomo della crisi è dovuto sia alla logica di esternalizzare il lavoro all’estero, sia al voler puntare su produzioni di segmento Premium, medio alto. Le vetture che si producono sono più pesanti e non impattano significativamente sulla produzione delle polveri sottili (PM10). Avremmo bisogno di vetture ecologicamente più piccole, con costi più accessibili”. Secondo il professor Bubbico per superare la crisi le case produttrici europee dovrebbero investire in nuovi prodotti e non pensare solo a distribuire i dividendi tra gli azionisti:” I cinesi hanno investito molto di più”.
Aniello Palumbo