Il “Carcalenzio” di Sant’Antonio a Montecorvino Pugliano.

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di Pasquale Martucci

L’Associazione Culturale: “Amici di Gallara”, molto attiva sul territorio, si riunisce il prossimo 12 giugno 2022 per festeggiare il “Carcalenzio di Sant’Antonio”, il rituale del fuoco in occasione della festa del Santo Patrono di Pugliano.

L’iniziativa ha come momento centrale l’accensione dei fuochi, con canti ed odi in onore di Sant’Antonio, come segno di purificazione: è un’espressiva forma rituale che si svolge soprattutto nella provincia di Salerno, così come argomenteranno Adriana Maggio e Santino Campagna all’inizio della manifestazione, che proseguirà con la proiezione del filmato: “Fuochi e Chiena Catartica”.

Il fuoco è inteso come risveglio della natura, la propiziazione e l’evocazione della luce che sconfigge le tenebre e domina sulla notte, la paura, il freddo e, rassicurando gli uomini, dà origine alla ritualità che allontana le potenze malefiche. La funzione purificatrice è propria dei rituali del ciclo agrario: è la fase di passaggio per consentire di superare il periodo precedente carico di precarietà. Il significato dell’accensione dei falò, utilizzando la legna secca, è il segno del vecchio che va bruciato per sostituirlo con il nuovo. Questo atto è il segnale del cambiamento.

Nelle società arcaiche esposte al rischio esistenziale, quando erano tutti inermi nel fronteggiare la natura, quando per impetrare la grazia del raccolto, delle piogge, si ricorreva a qualche santo, quando l’eccesso o la mancanza di precipitazioni erano ugualmente pregiudizievoli per una “buona annata”, ebbene allora si ricorreva a pratiche che servivano a rasserenare l’esistenza comunitaria.

Quel fuoco acceso in quella notte è la stessa trasposizione dei fuochi, che si elevano in altri periodi dell’anno e rappresentano il sole nei solstizi di inverno e d’estate, il passaggio dalla morte alla vita, con significati di protezione. In un documento di Giovanni Mascia: La tredicina dei fuochi a Sant’Antonio (articolo pubblicato sul “Quotidiano del Molise”, il 12.06.2018, che riprende un precedente scritto: Le stelle, le lucciole e i fuochi a Sant’Antonio, apparso su Ultricus n. 27 luglio/settembre 1999), si parla della tradizione molisana dei fuochi rituali, che partono dal periodo natalizio, con la “lenta rincorsa verso la pienezza di luce nella sommità dei cieli”. Viceversa a San Giovanni, il “Natale d’estate”, con fuochi analoghi si richiama il sole che inizia il lento declinare. Del resto, dalla tradizione orale si apprende dell’uso di spargere le ceneri di quei fuochi nei campi quasi a riscaldarne il seme: è il caso ad esempio della Notte di San Giovanni, quando quel fuoco magico serve ad allontanare il male e propiziare la fertilità, la fecondità. (Pont-Humbert C., Dizionario dei simboli, dei riti e delle credenze, Editori Riuniti, 1997, pp. 105-107)

Mascia scrive che il fuoco rituale è quello di Sant’Antonio Abate, che è poi trasposto in quello dell’altro Sant’Antonio, ora di Padova, in una quarantina di borghi tutti nella zona di Campobasso. A Toro la tradizione di giugno resiste, anzi è molto forte, e continuano ad ardere fascine nelle serate che precedono il 13 giugno in tutte le strade e per tutta la “tredicina”. Insieme ai fuochi, il rituale prevede bambini vestiti da munacielli, cestini di pane benedetto e l’ultima novità: il banchetto durante l’ultimo falò, a base di cavatelli e salsiccia. È tempo però di stelle, lucciole, di lampioni che illuminano a giorno e rendono l’aggancio religioso più labile.

In tutto il Meridione, l’uso popolare di bruciare grosse cataste di tronchi d’albero ammucchiati nelle piazzette è il nuovo modo di vivere una cultura che, rifacendosi alle origini, ripropone le vecchie abitudini e consuetudini.

Il “fuoco dei ceppi di legno”, a seconda della località, assume nomi diversi: “‘a fòcara”, “u’ fòcaro”, “u’ ceppone”, “u’ falò” e il “Carcalenzio” a Gallara.