Giffoni, il Ministro Valditara, Antonio Albanese e Simona Tabasco

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La scuola come cuore pulsante di Giffoni, come motore del Paese. La scuola che cambia per coltivare il protagonismo dei ragazzi. E’ il senso della visita di Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito, a #Giffoni 53. Ad accoglierlo all’ingresso della Multimedia Valley il fondatore di Giffoni, Claudio Gubitosi, il presidente dell’Ente Autonomo Giffoni Experience, Pietro Rinaldi, il direttore generale di Giffoni, Jacopo Gubitosi, ed il sindaco di Giffoni Valle Piana, Antonio Giuliano.

In Sala Blu l’incontro con i ragazzi che si inserisce tra le attività del Safer Internet Centre – Generazioni Connesse, progetto dedicato alla sicurezza digitale coordinato proprio dal MIM con il partenariato di alcune delle principali realtà italiane che si occupano di internet sicuro, tra queste anche Giffoni che coordina lo Youth Panel.

La cosa più bella di Giffoni – ha detto il Ministro al suo arrivo – è che è uno stimolo eccezionale per il territorio, una opportunità per tantissimi giovani, fra l’altro con cinquecento contratti attivati che si traducono in altrettante persone coinvolte. È tutto molto bello e positivo. I giovani dovrebbero essere protagonisti sempre, soprattutto nella scuola”. Cosa si sta facendo in questa direzione? Tra le iniziative il Ministro cita quella dedicata all’educazione stradale: “Quando, con il ministro Salvini, abbiamo varato il progetto abbiamo voluto che i ragazzi fossero testimoni, con il peer tutoring, ci sono i ragazzi che raccontano le proprie esperienze, sono gli studenti che, insieme, costruiscono una narrazione educativa. Qui ritrovo lo stesso spirito ed è qualcosa anche di molto moderno”.

La scuola rappresenta un pilastro del Paese. E l’Italia è un Paese a doppia velocità, come emerge dai dati Invalsi. Nord e Sud sembrano procedere su binari paralleli: “Ho detto – spiega Valditara – che è moralmente inaccettabile che l’Italia sia spaccata in due. Dobbiamo fare qualcosa di importante e di serio in questo senso. Da qui nasce l’Agenda Sud con cui abbiamo individuato 240 scuole che sono quelle maggiormente a rischio dispersione, di ogni ordine e grado”. Si tratta di un programma sperimentale e molto ambizioso: “In queste scuole – aggiunge il Ministro – Manderemo più insegnanti, in particolare di matematica, italiano e inglese, stanziamo risorse importanti per pagare, ed è la prima volta che succede, attività extra curriculari che potranno svolgersi di pomeriggio ma anche d’estate. Poi ci sarà l’estensione del tempo scuola con l’introduzione del tempo pieno”.

In sala le domande dei ragazzi si concentrano nel rapporto docente – studente, spesso conflittuale. Valditara comprende il punto di vista dei ragazzi, ma non può non sottolineare il valore che oggi il corpo docente italiano riesce ad esprimere: “La scuola – ha detto – deve insegnare in particolare due valori, quello della libertà che è tanta roba per la costruzione di un cittadino consapevole. E poi il valore del lavoro. La scuola deve saper educare e formare al lavoro. Anche in questa logica abbiamo inserito l’educazione finanziaria tra le discipline per rendere i ragazzi sempre più consapevoli”.  Il docente è lo snodo di tutto questo, l’insegnante è il punto di contatto tra scuola e società: “Spesso il docente – ha continuato Valditara – è una persona demotivata. Per lo stipendio, per lo stress perché quello dell’insegnante è uno dei lavori più stressanti. Ma si chiede loro anche entusiasmo, ed è giusto. Io in questi mesi ho incontrato tantissimi docenti e dirigenti che rappresentano il bello della scuola. Basta mettere un po’ di acqua e questa pianta tornerà a splendere”.

Quello dello stipendio degli insegnanti è per l’Italia un tasto dolente, da sempre. Valditara conferma che non è tra le professioni meglio retribuite nel nostro Paese e aggiunge: “L’ultimo contratto siglato è il migliore sin qui concluso, è solo il primo passo. Dobbiamo dare altre opportunità come quella del docente tutor, dare loro modo di impegnarsi in attività extracurriculari, al pomeriggio o d’estate, pagandoli, chiedendo qualcosa in più ma dando il giusto corrispettivo perché i nostri ragazzi, i nostri talenti possano diventare linfa vitale del nostro Paese. Bisogna prendersi cura della scuola e dei docenti perché fanno il lavoro più bello del mondo, perché dare un futuro ad un giovane è la cosa più bella che si possa fare”.

In sala si parla di internet sicuro. E’ il senso del Safer Internet Centre su cui il Ministero investe da anni: “E’ importante questa iniziativa dedicata ad avere un internet più sicuro – ha spiegato – fruibile da tutti, uno strumento di democrazia ma che può essere anche pericoloso e che per questo va usato con saggezza. I tre pilastri della sicurezza digitale sono quindi la costruzione di un percorso sicuro e con una fruibilità sicura, l’educazione ai rischi che ci sono l’utilizzo costruttivo scatenando da parte dei ragazzi capacità di fantasia e di inventiva. Mi pare che con questo progetto si faccia tutto questo”.

Le nuove tecnologie rappresentano la frontiera da abbattere: metterle al servizio della scuola per migliorare l’offerta didattica. Sfida possibile? Per il Ministro Valditara si può fare e si deve fare: “Non dobbiamo – ha detto – avere paura dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale ad esempio. Su questo è importantissima la formazione che riguarda sia i docenti che gli studenti. Le potenzialità di questo strumento sono infinite soprattutto in termini di personalizzazione dell’educazione che per me è prioritaria. Abbiamo deciso di investire miliardo e duecento milioni di euro per la realizzazione di laboratori digitali e 450 milioni di euro per la formazione al digitale. Tutto fondi del Pnrr. Il mio sogno è che queste strutture servano proprio per rendere più moderna la nostra didattica”.  Ma il digitale non può snaturare la scuola e la sua funzione: “La scuola – dice – è e resta una comunità educante, fatta di persone e nella quale il rapporto interpersonale è un importantissimo strumento di crescita. Il digitale, perciò, va inserito sempre nella logica della comunità educante in cui la persona è al centro. La nostra resta la scuola del 2 giugno, quella che realizza i valori della nostra Costituzione”.

Cinquantonove candeline di talento e simpatia. Antonio Albanese ci soffia sopra con straordinaria autenticità nella Sala Verde della Multimedia Valley. In programma uno dei workshop di punta della sesta giornata del festival. I ragazzi in shirt arancione sono pieni di curiosità sulla vita professionale del poliedrico artista originario della provincia di Lecco. E con le loro domande su aspetti tecnici e personali si appoggiano a un registro di conoscenza che non ha altro inchiostro di scrittura se non la volontà di imparare tutto il possibile nel frammento di un incontro. “Sono nato in una famiglia di operai,  originaria della Sicilia ed emigrata al Nord per lavoro, potrei dire per fame” esordisce Albanese. “Fino ai ventidue anni sono stato un discreto fresatore e tornitore. Frequentavo l’istituto tecnico serale per prendere il diploma. Ad un certo punto ho lasciato il certo per l’incerto. Merito di un corso serale di teatro consigliato da una mia amica durante il quale ho colto la meraviglia di questo mondo”. Le porte girevoli della vita non hanno mai voltato l’anta ad Albanese. Ma la strada per lui, uomo dai natali umili,  è sempre stata in salita anche quando la buona sorte guardava fisso nei suoi occhi: “Alla scuola di arte drammatica fui preso tra una rosa di cinquecento candidati. Ero felicissimo ma vivevo a Milano e non era facile mantenersi. Al secondo anno volevo lasciare per ragioni economiche. Proprio in quella fase di disperazione è nato il personaggio di Epifanio, con uno spostamento di ritmo e spina dorsale da drammatica a comica. Comincio così a guadagnare i primi soldi e da lì la mia carriera non si è più fermata”. Albanese ha alle spalle inizi “difficili” che proprio questo definisce “indimenticabili”. Un cammino lastricato di costante studio e di un lavoro sul campo che molto spesso occupa  per intero le sue giornate. “Questa professione ha bisogno di un impegno totale” sottolinea. “Io sono stato molto fortunato perché ho incrociato persone che avevano tante cose da insegnare, non like da esibire. Penso al direttore dell’accademia Riccardo Palazzi, solo per citarne uno. Guide autorevoli senza le quali non sarei quello che sono oggi”. E oggi, Antonio Albanese, è un attore con trent’anni di robusta e prestigiosa carriera. Nel suo profilo curriculare ruoli comici e impegnati, drammatici, talvolta in un tale rapporto di contenimento reciproco da sembrare un corpo unico a più strati di pelle autoriale. “Prendo ispirazione dalla vita che mi circonda” specifica Albanese. “Sono molto curioso e mi piace frequentare anche gli ambienti lontani da me, quelli più strambi e magari anche antipatici per “rubare” comportamenti e modi di essere. I miei personaggi sono nati tutti così”. E di personaggi ne ha dati alla luce davvero tanti e rldi successo. Da Alex Drastico a Cetto La Qualunque. Da Pier Piero a Frengo al Ministro della Paura. Una miscellanea di umanità con la quale ha fermato il tempo nel momento della intuizione: “Sono maschere che raccontano spaccati reali di esistenza. Un attore ha bisogno di maschere, anche se poi deve essere consapevole che con il passare del tempo anche la sua maschera può cambiare. Parlo di un cambiamento fisico che riguarda corpo e volto, in virtù del quale può risultare meno adatto a immedesimarsi in determinati personaggi”. Albanese ha un grande amore per il teatro. Il suo autore di riferimento è Karl Valentin, commediografo tedesco scomparso nella prima metà del Novecento, il cui monologo sull’acquario contenuto nella raccolta TingelTangel “mi ha segnato nel profondo”. Sul piano più generale della scrittura ha invece letto e riletto i testi di Simenon, per il quale ammette di essere pazzo di stima.

“I grandi maestri ci aiutano a crescere, a migliorare, a tirare fuori il meglio di noi. In generale il rapporto con gli altri è fondamentale e un artista non deve mai mettere le distanze dalla vita reale. Allo stesso tempo, però” afferma rivolgendosi ai giffoner “non fatevi mai influenzare negativamente dal giudizio di chi vi sta intorno. Credete fino in fondo nei vostri sogni e inseguitili senza perdere tempo e senza mollare“.  Nella Sala Verde della Multimedia Valley entra il fondatore di Giffoni Claudio Gubitosi. L’abbraccio con l’artista italiano è pieno di affetto e amicizia. “Voi giffoner” dice Albanese “avete il privilegio di vivere un festival bellissimo in un posto bellissimo. Io giro l’Italia e non è facile trovare uno spazio come questo. Qui c’è un’atmosfera unica. Si respira cultura. E la cultura è sacra perché fa conoscere e riflettere, dà la forza di vivere e convivere con gli altri restituendo centralità al pensiero e al silenzio dell’ascolto”.  “La cultura” insiste Albanese “proprio per questa ragione ha il potere di far splendere e salvare l’uomo”. I ragazzi della sezione più diciotto si alzano in piedi. Tutti. Le mani si prendono a piacevoli ceffoni una con l’altra. Applausi a scena aperta. Standing ovation.

Diecimila. Sono i chilometri che dividono Giffoni da Hollywood, la capitale mondiale del cinema. È la distanza che ha percorso Simona Tabasco. Ma sono millimetri in confronto alla misura di un sogno, quello di diventare un’attrice. Al Giffoni Film Festival Simona Tabasco sarà per sempre grata. Lo conferma emozionatissima in una gremita Sala Truffaut. “Non mi aspettavo tutto questo. Nemmeno immaginavo di poter diventare un’attrice. Giffoni non è stata una piccola spinta, ma molto, molto di più. Mi ha cambiato la vita. È stato semplicemente tutto. Un giorno mi trovavo in vacanza con i miei genitori e il team di Giffoni mi propose un provino, ed oggi mi trovo qui.”

Il nome della Tabasco è inevitabilmente legato alla fortunata serie HBO, The White Lotus, diretta da Mike White, acclamata universalmente come miglior serie del 2022. Simona Tabasco, per la sua interpretazione, ha ricevuto la candidatura agli Emmy Awards nella categoria “Miglior attrice non protagonista”: “Sto vivendo tutto questo con sorpresa e leggerezza. Gli Emmy sono importanti, ma lo è di più comunicare attraverso il mio lavoro. È un riconoscimento che mi inorgoglisce, e allo stesso modo inaspettato, perché non credevo fosse possibile raggiungere un risultato del genere”.

Sul set di The White Lotus l’attrice napoletana ha vissuto cinque mesi davvero incredibili. Un ruolo, quello di Lucia, che inizialmente l’ha intimorita perché distante da lei: “Mi sono affidata completamente alla sceneggiatura e al regista. Eppure, prima di iniziare ero terrorizzata – confida ai giffoner. “Non avevo mai incontrato il regista, perché durante i casting avevo il Covid, e quindi feci il provino tramite Face Time. Tutta l’attesa prima di girare a Taormina quindi è stata terribile. Studiavo, dato che sono una gran secchiona, ma l’ansia aumentava. Ma sul set ho scoperto delle persone fantastiche, e mi hanno insegnato che non serve nulla a mettere in difficoltà l’altro, e i mesi sono passati velocissimi.”

Simona e Lucia. Due donne così diverse, così lontane. La Tabasco non ha esitato nell’affermare di essere una donna con tutte le sue fragilità. Di non nasconderle, di non volersi mostrare diversa da com’è: “Tramite i personaggi che interpreto penso di esporre le zone più grigie di me. È il lato positivo di questo lavoro. Il mio personaggio in The White Lotus mi ha insegnato tanto. Mi ha permesso di dimenticare la donna che sono oggi, mi ha insegnato a vivere il momento della scena”. La serie HBO si è trasformata, dietro il set, anche in una storia di amicizia, quella tra Simona Tabasco ed un’altra attrice italiana, Beatrice Grammò: “L’ho conosciuta 10 anni fa, perché provammo ad entrare al centro sperimentale di Roma. Lei poi andò a Londra, e ci siamo rincontrate anni dopo sul set di Doc. Da lì ci siamo aiutate a vicenda per i provini di The White Lotus, ed è stato bellissimo ed incredibile riuscirci entrambe.”

Un altro grande capitolo della carriera di Simona Tabasco è una storia tutta italiana, quella di “Doc – Nelle tue mani”, la serie medical drama prodotta da Rai 1, che è stata accolta dal pubblico italiano con numeri pazzeschi. La serie Rai è celebrata con parole dolci dall’attrice: “Il gruppo di Doc è quello che ricordo con maggior affetto e amore. Abbiamo legato dal primo momento, è stato divertente girare con loro. Ci sarebbero mille aneddoti divertenti sul nostro approccio alla serie.” E sul tema del Covid nella seconda stagione: “Abbiamo vissuto qualcosa di irripetibile per la nostra società ed interiorità. Ho indossato una tuta che mi copriva dalla testa ai piedi. Ho pensato che noi attori abbiamo vissuto soltanto una parte di quello che i medici hanno realmente vissuto. Immedesimandomi i loro ho avuto dei brividi.”

Quella di Doc è stata un’esperienza formativa ed importante. Tuttavia le strade di Simona Tabasco e Doc sembrano destinate a dividersi. L’attrice, infatti, ha confermato che non sarà presente nella prossima stagione per le difficoltà incontrate a conciliare tutti gli impegni lavorativi. Il futuro per la Tabasco è tutto da scrivere. Mille pagine bianche che aspettano di essere coperte da inchiostro di storie, avventure ed esperienze, in Italia e all’estero. E alla fine dell’incontro con la stampa non nega: “Sanremo? Sarebbe una bella sfida. Non è così lontano dai miei pensieri”.

A cura di Agostino Marotta