Campora e Padre Giuseppe Feola, tra comunità e immaginario popolare.

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di Pasquale Martucci

U cuntu, il racconto, la leggenda, il mito costituiscono l’anima del Cilento, che si è manifestata attraverso la cultura dell’oralità narrante, trasmessa di generazione in generazione, ciò che potrebbe essere inteso come Genius Loci. Queste costruzioni comunitarie hanno dato vita a molti personaggi, un mondo magico ma anche reale, in cui emergono gli eventi delle società, la vita quotidiana e i suoi costumi. Si tratta di avvenimenti che comunque sono il frutto della storia di un luogo, anche se sono modificati, ampliati, per colpire e rendere vivo il racconto: ovvero, una storia che esiste ed un immaginario che si sovrappone ad essa, la integra e la trasmette ai posteri.

Sabato 14 gennaio 2023, la Videoconferenza/Convegno dal titolo: “Storie di Campora”, ha visto la proiezione del film: “Non è più tempo di martiri”, sulla figura di padre Giuseppe Feola, che ha avuto tra i protagonisti in veste di attori gli abitanti del luogo, che non avevano mai recitato, per rendere ancora più realistica la messa in scena. L’altro lavoro era “Ombre”, la rievocazione dell’azione del podestà Nicola Veltri, prima fascista e poi liberale, amato dalla gente per le sue idee avanzate, che tanto ha lasciato in eredità a questo paese. Di quest’ultimo si è argomentato in sede di dibattito.

I due film sono stati realizzati dalla Scuola di Cinema “Anna Magnani” di Prato e dal direttore della stessa, il regista Massimo Smuraglia, che si è soffermato sull’importanza della cultura per la ricchezza e la vivacità di un luogo. Il regista è stato promotore nel territorio di un laboratorio creativo, sorto nel 2017, che ha interessato ben 23 ragazzi cilentani. Sono stati realizzati alcuni cortometraggi, presentati nell’ambito della Rassegna Cine Lab Festival, che hanno dimostrato come queste esperienze servono alla promozione del territorio e come la valorizzazione possa passare attraverso la ricchezza degli eventi che coinvolgono i paesi cilentani.

L’iniziativa su Campora e Padre Giuseppe Feola è stata voluta dal prof. Ezio Martuscelli, presidente dell’Associazione storico-culturale “Progetto Centola”, e dal prof. Angelo Perriello, animatore del Comitato Civico “Padre Giuseppe Feola”. In paese, tutto ha inizio con la consapevolezza che occorre porre al centro i temi dell’unità, della fratellanza, della solidarietà, e la ricerca di un futuro volto alla valorizzazione dei villaggi globali, sostiene Perriello, che rileva l’intento di promozione e divulgazione della cultura territoriale.

Con questa Videoconferenza si è inteso porre il borgo cilentano come epicentro della storia, minima e magari poco conosciuta, ma una storia che parte dalle vicende realmente accadute che si tramandano di generazione in generazione. Con: “Storie di Campora”, si intende recuperare la memoria storica atta a comprendere fenomeni sociali attuali, legati all’emigrazione e allo spopolamento dei paesi di una terra dotata di ricchezze storiche e artistiche, ma anche di una cultura immateriale. Per fare ciò, è necessario partire dai luoghi della memoria che ancora si tramanda, come accade con Campora che si stringe intorno al suo passato e proietta i valori identitari in un futuro tutto da realizzare. Occorre però, come sostenuto da vari partecipanti al dibattito, proporre iniziative che abbiano una strutturazione organizzativa adeguata e una divulgazione mediatica attraverso i moderni canali digitali.

Per fare qualche ulteriore considerazione, credo che la figura di Vitantonio Feola, il cappuccino Giuseppe da Campora, che lottava contro i soprusi e per la diffusione delle idee liberali, vada contestualizzata entro un rapporto tra storia e immaginario popolare. E ciò perché quella vicenda è legata alla leggenda che ancora si tramanda e che colpisce la fantasia popolare.

Dopo l’Unità d’Italia, nel giugno del 1863, il padre Giuseppe da Campora fu ucciso da Giuseppe Tardio, capo brigante di Piaggine. La sua storia è ancora impressa nei ricordi della gente, tanto che oggi la piazza di Campora dove fu assassinato è a lui intitolata.

Ma c’è anche un’integrazione della vicenda, quella ru curdone ru monaco.

Un monaco di Campora fu preso dai briganti: era un frate cappuccino, si chiamava Giuseppe Feola. Si disse che il papa avesse ordinato di ucciderlo, perché in un libro quel religioso aveva accusato il potere temporale dei papi, contestando il ricorso alla scomunica. Giuseppe Feola era un uomo di cultura che sapeva destreggiarsi nelle carte, aveva un’infinità di libri ed era molto apprezzato in paese anche per la sua condotta morale. La gente parla di una presenza troppo scomoda. Il brigante Tardio fu incaricato di uccidere Giuseppe Feola. Nessuno aveva mai visto il brigante in paese, ma in quella circostanza si recò di persona a Campora per realizzare il delitto. A Piaggine, nella zona detta Campoluongo, arruolava i giovani. Venivano subito incaricati di uccidere qualcuno: era la loro iniziazione. A quel punto erano costretti a vivere per sempre da briganti. Tardio bussò di notte alla porta del monaco e usando un espediente lo prelevò e trascinò in piazza al cospetto del popolo. Fu inscenato un pubblico processo, durante il quale l’accusa fu di avere rapporti sessuali con donne della zona. Doveva essere screditato. Il dubbio rimase in parte della popolazione che non difese quell’uomo pio. Alcuni gridarono: – A morte! Non si sa perché, forse avevano paura dei briganti. Qualcuno ricorda una invettiva del monaco nei riguardi della popolazione: – Gli abitanti di Campora saranno scomunicati per sette generazioni! Si parla anche di un grido che uscì dalla sua bocca: – Viva l’Italia! L’esternazione delle sue idee liberali. Fatto sta che Giuseppe Feola fu ucciso.

La condotta del Tardio di processare ed uccidere pubblicamente il religioso aveva diverse finalità: da un lato quella di mostrare la potenza dei briganti che imperversavano in quei luoghi; dall’altro quella di affermare che il corso degli eventi doveva essere gestito dal potere locale e non da coloro che volevano sovvertirlo; infine, quella di evitare di trasmettere storie esagerate ai posteri, quelle di un uomo pio fatto scomparire chissà per quali scopi.

La leggenda narra che il monaco non morì subito, nonostante i colpi subiti. Pur agonizzante restò vivo, ed allora Tardio si avventò con il suo coltello sull’uomo, poi recise il cordone del suo saio, u curdone ru monaco. Fu allora che Giuseppe Feola spirò.

Tagliare il cordone della vita ed al tempo stesso recidere il simbolo religioso era lo scopo. Molti restarono turbati. Perché il monaco, così importante in quella comunità, tardava tanto a morire? Era un santo o un demonio? Quell’atto simbolico di sottomettere Giuseppe Feola al volere dei briganti fece alimentare il suo mito. Il frate non moriva e, opponendosi al sopruso, intaccava il prestigio dei briganti. Era un uomo che in maniera drammatica affrontava il pericolo, e proprio per questo rappresentava un personaggio non comune che attrae e permette una narrazione mitica. Qui gli elementi reali (l’uccisione del monaco) lasciano spazio alla fantasia (l’uomo che non muore, se non quando gli viene reciso il cordone sacro).


 

Nota:

Per trattare la storia di Vitantonio Feola ho intervistato a Campora: Mario Costantino il 10 ottobre e il 14 novembre 2006; Nicola Calabria, Aniello Galzerano e Angiulina Tomeo il 14 novembre 2006 e il 9 gennaio 2007. Ho consultato anche: “Campora: storia e società”, materiale fornito da B. Casuccio, 1987; G. De Matteo, “Brigantaggio e Risorgimento – legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia”, Ed. Guida 2000; A. Infante, “Padre Giuseppe Feola da Campora”, Ed. La Colomba, 2004; Associazione Pro-loco Campora, materiale di ricerca, tratto dal sito del Comune di Campora. La storia è contenuta nel volume: P. Martucci, “Cilentanità”, Centro di Cultura e Studi Storici “Alburnus”, 2008, pp. 117-121. Ho ripreso la vicenda anche nel lavoro: “U curdone ru monaco. Aspetti mitologici e cultura popolare cilentana”, in: http://www.ricocrea.it, del 31.05.2020.