In Italia, piaccia o no, l’esercizio della libera professione in piena e totale legalità è normato da alcune semplici e chiare regole.
La prima regola da rispettare è quella di conseguire quello che viene comunemente indicato come diploma (di scuola media superiore) che si ottiene dopo aver frequentato un ciclo di studi lungo almeno tredici anni.
Il successivo ciclo di studi, di durata variabile, porta al conseguimento della laurea. In tanti altri Paesi, o forse in tutti gli altri Paesi, il semplice raggiungimento del titolo di studio di fatto abilita all’esercizio della professione con tutti gli annessi e connessi amministrativi e fiscali.
E in Italia? Non è così, noi siamo profondamente diversi da tutti gli altri e, almeno per coloro che sfruttano la diversità per benefici personali, non perdiamo occasioni per ostentarla a mo’ di valore aggiunto.
Ragion per cui in Italia il titolo di studio conseguito non è il traguardo oltre il quale ci si affaccia alla vita professionale, ma solo una tappa di avvicinamento. Il traguardo vero e proprio dopo il quale si inizia ad esercitare è rappresentato dall’iscrizione, non senza difficoltà anche economica, al Collegio o Albo professionale di riferimento.
Solo dopo l’agognata iscrizione il professionista può iniziare la sua attività tenendo ben presente l’aumento delle spese di gestione rappresentato dalla (obbligatoria) quota annuale (che a volte è irrisoria e a volte lo è un po’ meno).
Orbene, pur con la volontà di non incappare in polemiche vicine al populismo, è risaputo che farsi assistere da un professionista (in questo caso un avvocato) per perorare il proprio (presunto) leso diritto, non è proprio una attività economica, anzi …, come pure sappiamo benissimo che non onorare un impegno sottoscritto può costare caro.
Perché tutto questo: è mai possibile che una parte, anche abbastanza numerosa, di una categoria che ha la legalità ed il suo rispetto come “core businnes” (mi riferisco agli avvocati), pur consapevole di non aver rispettato l’impegno della corresponsione della quota annuale, anche con tutte le attenuanti ben note, abbia inscenato una protesta plateale (del tipo non pago e non mi cancello) senza alcun ritegno e vergogna?
In effetti il tutto è nato da una regola, recentemente varata, che imporrebbe di fatto l’esclusione dall’albo dei professionisti non in regola con le quote annuali, che agli occhi di tanti sembra una normale conseguenza per un mancato rispetto delle regole. Ma è mai possibile che non riusciamo mai ad eliminare qualche diversità? E pensare che ci si rivolge all’avvocato per sete di legalità; chissà se la sete passa, persiste o aumenta quando si scoprono taluni atteggiamenti!