SEGNI DELLA SCRITTURA DEL NOVECENTO L’ERMETISMO SPIRITUALE DI QUASIMODO (parte settima)

cop lineam lett criticaQuesta corrente letterario-poetica, inizialmente, era designata col nome di “Poesia pura”, che si trasformò nella dicitura Poesia ermetica per opera di Francesco Flora, che coi termine ermetica” voleva significare una poesia chiusa, non aperta a tutti, di difficile intelligenza. La poetica ermetica, infatti, polemizza con tutta la nostra tradizione, repellendo i toni alti o sfibrati o malinconici o sentimentalistici, in una temperie priva di comunicazione, dove la pena esistenziale vive in modo individuale e non chiede aperture di conforto e di fiducia. Bensì essa fa rivivere, con singolare originalità, sinceramente, senza pose, i motivi che appartengono al simbolismo, che nell’ermetismo trovano, alla fine, una maturità che è consapevolezza della solitudine umana dell’uomo. Quindi, non capriccio, non moda, non ostentazione ipocrita, ma coraggioso dispiegarsi dello spirito a una pena esistenziale, che non è più l’angoscia pascoliana di fronte al mistero dell’essere, né il cosiddetto panismo dannunziano, perché la pena esistenziale è il male stesso di vivere senza possibilità di comunicazione, di conforto, di solidarietà con gli altri. Nessuna religione, oppure ogni forma di religione, perché questa pena non è dolore e sentimento di ricerca di valori universali; essa è ravvicinabile solo per qualche tratto al complesso sentimento di tedio leopardiano. Una pena che ti chiude nel cerchio di una incomunicabilità che ti isola, ti toglie i requisiti di animale associato. Vive lucido, essenziale solo il pensiero, capace di creare poesia, espressa come soffio, respiro senza peso, quasi a brandelli, come schegge di verità, intuite e simbolizzate. “Sradicato dai vivi! cuore provvisorio / sono limite vano” (Quasimodo). Quasimodo, in un ambito di accostamento a Ungaretti e a Montale, iniziò la sua poetica, dichiarandola apertamente “poetica della parola” cioè “una realtà autonoma del sentimento primordiale”. Quindi, solo la parola, così intesa, può essere insieme “principio e ragione” della poesia. Questo sentimento nuovo di vedere il momento poetico si evince chiaramente dalle sue prime raccolte di versi: Acque e terre (1930); Oboe sommerso (1932); Erato e Apollion (1936); Ed è subito sera (1.942). Quasimodo si rivela subito poeta singolare, che, pur rimanendo nella solitudine ermetica, non le preclude qualche varco verso la speranza di un rapporto umano.
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