Acqua, principio di tutte le cose: la Terapia Neuropsicomotoria altra eccellenza del Renzullo Centro di Riabilitazione

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 Si dice che i sorrisi dei più piccoli siano speciali per una serie infinita di ragioni tra cui, evidentemente, quella di essere in grado di contagiare chiunque si presenti loro nei paraggi. Assunto veritiero e quanto mai verificabile presso il Renzullo Centro di Riabilitazione in Sarno, dove, da poco più di un anno, l’attrezzatissima area piscine, dotata di vasche di diversa profondità oltreché strumentazione all’avanguardia, funge da scenario ideale per la cosiddetta Terapia Neuropsicomotoria in acqua. 

Si tratta di un valido percorso terapeutico di supporto alla pratica ambulatoriale, tale da abbracciare diversi disturbi dell’età evolutiva e destinato a patologie ben note, quali paralisi cerebrale infantile, disabilità intellettiva, disturbo dello spettro autistico, disturbo della coordinazione motoria, sindrome genetica e disturbo da deficit di attenzione o iperattività. 

In relazione alle suddette problematiche, cruciale è il ruolo ricoperto dall’acqua, elemento facilitatore che agisce come stimolo tangibile rispetto all’aria. La Terapia Neuropsicomotoria in acqua si esplica, presso il Renzullo Centro di Riabilitazione, grazie ad un encomiabile lavoro d’equipe che consente di monitorare e prendersi cura ad ogni occorrenza dei tanti piccoli pazienti che quotidianamente raggiungono dall’esterno la struttura riabilitativa di Via Beveraturo in Sarno; l’attività terapeutica, infatti, è coordinata dalla supervisione specialistica della neuropsichiatra infantile, dott.ssa Rosa Passerini, cortesia di un progetto che nasce e si sviluppa con il contributo delle dottoresse Emanuela Varriale, Sara Esposito e Silvia Vozzolo, a cui si sono successivamente aggiunti i colleghi Rossella Capasso, Angelo Sorrentino e Cristina Esposito. 

Attività terapeutiche nel corso delle quali un peso specifico rilevante è dato dallo scambio relazionale: attraverso l’acqua ed il contatto ravvicinato creatosi tra terapista e paziente, quest’ultimo è in grado di acquisire maggiore consapevolezza emotivo-corporea (talvolta anche mediante quello che potrebbe banalmente essere definito come un gioco di sguardi che, in verità, costituisce il primo piccolo, grande passo verso le finalità della suddetta terapia) rispetto a quanto potrebbe avvenire in un contesto differente. 

A parlare nel dettaglio del percorso terapeutico neuropsicomotorio in acqua è la dottoressa Emanuela Varriale, neuropsicomotricista dell’età evolutiva, acquamotricista ed esperta in disturbi del neurosviluppo, impegnata quotidianamente con i tanti bambini che si sottopongono – oltreché 

ad attività ambulatoriale mattutina – a sessioni settimanali di lavoro in acqua, ciascuna dalla durata di circa quarantacinque minuti: 

“L’ambiente acquatico gioca un ruolo fondamentale per quanto concerne i disturbi dell’età evolutiva; in acqua si modificano sensibilmente le dinamiche di relazione, equilibrio, spostamento e percezione ed il bambino, in tale contesto, acquisisce consapevolezza e competenza non solo nell’area motoria, ma anche in quella relazionale, sociale ed emotiva. 

La presa in carico del paziente – continua la dottoressa Varriale – è un momento fondamentale ed orientante attraverso cui il terapista è chiamato a mettere quest’ultimo il più possibile a proprio agio in un ambiente di fatto nuovo. La risposta del bambino non è mai univoca ed essa va interpretata anche in relazione allo step successivo, dato dalla scelta del tipo di vasca, ciascuna diversa per grandezza e profondità, in cui avverrà il primo vero lavoro terapeutico. Fare terapia in una vasca più profonda, in una situazione-tipo di disturbi relazionali, equivale a far sì che, in prima istanza , il paziente dipenda fisicamente dallo specialista, sfruttando l’istinto di sopravvivenza, ma è ciò che avviene a seguire che assume un peso specifico massimamente rilevante, dal momento che l’atto di aggrapparsi – al netto di un’istanza di origine naturale – prende ad assumere sfumature emotivo-relazionali, con il bambino che percepisce e riconosce il piacere della situazione tout court”. 

Dal punto di vista prettamente metodologico, inoltre, non è ridondante sottolineare quanto la componente ludica sia alla base di questo iter terapeutico: 

“Il gioco espresso attraverso la complicità tra paziente e terapista, al netto della strumentazione presente nell’area piscine caratterizzata da oggetti zavorrati o di galleggiamento, è il fulcro di questo approccio in ambiente acquatico: la seduta si esplica mediante un rapporto fiduciario che viene pian piano a crearsi tra i due attori coinvolti nell’atto terapeutico. In parallelo, si sviluppano altre innumerevoli dinamiche: il terapista intende creare una sorta di ritualità nelle azioni compiute dal bambino in questo ambiente, affinché egli sia in grado di stabilire una sequenzialità che, tuttavia, potrà e dovrà essere all’occorrenza interrotta. Tutto ciò su cui lavoriamo in questo microcosmo vuole e deve essere funzionale alle situazioni che il bambino sarà chiamato ad affrontare all’esterno”. 

Passione, competenza, voglia di continuare a crescere: il lavoro encomiabile dell’equipe di cui fa parte la dottoressa Varriale e gli investimenti mai lesinati dalla proprietà del Renzullo Centro di Riabilitazione sono stati chiaramente ripagati, al netto dell’apprezzamento generale riscosso dalle tante famiglie che riconoscono la crucialità di un approccio efficace in scenari quali quelli sopra menzionati: 

“La risposta da parte dell’utenza è stata fin da subito significativa, e per quanto concerne la terapia ambulatoriale e in merito a quella neuropsicomotoria in acqua. Fin dal primo istante, inoltre, il Centro ci ha messo nelle condizioni di lavorare al meglio, fornendoci tutti gli strumenti necessari alle attività che svolgiamo quotidianamente. In sinergia con i colleghi, infine, abbiamo effettuato valutazioni iniziali, intermedie e finali a proposito delle abilità motorie e relazionali nonché dell’assetto comportamentale dei singoli pazienti durante la fase terapeutica, il tutto formalizzato lo scorso 14 febbraio in occasione di un convegno che ci ha permesso di tracciare una sorta di primo bilancio dell’attività, con l’ausilio della mole di dati raccolti e dell’esperienza pratica e d’osservazione a sostegno della validità di questo trattamento”.