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NOTA DELL’AUTRICE

Qual è la molla che, ad un certo momento, scatta nel complesso meccanismo biofisiopsichico della volontà e ti comanda «Scrivi un romanzo?».
E’ difficile dirlo, forse impossibile.
Se ti senti comandato a questo, prendi a scrivere, senza anteporti drammaticamente le pur drammatiche conseguenze del dispendio enorme delle proprie forze fisiche, psichiche ed economiche.
Un’insondabile soddisfazione appaga il tuo spirito: hai alzato anche tu la tua voce, tra le infinite altre che circolano sotto molteplici aspetti.
Tu sai, però, che la tua ha parlato con sincerità e con fede: sincerità nel momento di raccoglimento della coscienza; fede nella convinzione che nessun bene materiale vale quanto il sentimento, che, nella sua impalpabilità, dà una misura concreta alla nostra vita.
Dialogando coi giovani e coi giovanissimi, nella mia qualità di insegnante, ho avuto modo di sondare la loro visione della vita, che, con rammarico, devo definire terrena, con poco o nessuno spazio per il Cielo.
Vorrei allora aver saputo dire per essi una parola d’amore e, soprattutto, di fede; capace di giungere fino al loro cuore.
I personaggi di questo romanzo vivono, patiscono, gioiscono e muoiono, come tutte le creature di questo mondo: di ieri, di oggi, di domani. Senza assumere atteggiamenti moralistici, li ho lasciati vivere liberamente, secondo la loro personale misura esistenziale.
Mi pare di aver assolto il mio compito se di essi i più sventurati hanno saputo lasciare un ricordo di sé, che è rimpianto negli altri. Perché il sentimento della vita è tutto qui: nella capacità di accettare la propria esistenza nella totalità dei suoi elementi costitutivi, spesso contraddittori e difficili da dirimere.
Alla fine il valore autentico della nostra esperienza terrena, sta in quella misura che noi le sappiamo conferire, in quell’equilibrio, non fatto di ricchezze e di fortuna, ma di saggezza, che ci consente di vivere, comunque, «una meravigliosa vita d’amore e di speranza».
La storia che fa da sfondo al romanzo è quella degli «anni trenta», forse per una naturale trascinazione nostalgico-sentimentale ai ricordi della fanciullezza, vissuta fra tanti tabù, ma anche tra una grande ricchezza di sentimento.
Entusiasmi pregnanti nacquero rigogliosi e caddero, poi, torturati e vilipesi, lungo un decennio di storia esaltante e tragica insieme. Seguirono atroci frustrazioni, che mi propongo di narrare nel prossimo romanzo, impostato, appunto, sulla seconda guerra mondiale, che, però, abbraccia anche il presente, non meno perturbato da eccezionali fenomeni sociali, politici, morali e bellici.
Forse sarà un’autobiografia; in ogni caso sarà un testamento spirituale da lasciare ai figli.

CAPITOLO I

«Non è possibile!» — disse Valeria con la voce rotta, la gola soffocata e, dentro, una sensazione spaventosa di morte…
«È proprio così, invece» — rispose Marco, con uno sguardo cupo, quasi disperato.
«Valeria, Valeria, non rendermi tutto più difficile! Io t’amo da morire… ».
«Perchè l’hai fatto?» — riuscì a mormorare lei, prima di cadere, vuota di se stessa, su una poltrona.
«Perchè, perchè, perchè?» — gridava Marco quasi impazzito.
«Perchè mi sono trovato dentro; ho accettato l’incarico, come stordito da un miraggio. Compiere questa missione, in quel momento, significava per me tutto: vite da salvare; possibilità di approfondire i miei studi con tutti i mezzi a disposizione; far parte di un complesso di scienziati.
«Si, si, mi sono montato la testa! Un piccolo medico di provincia che d’un balzo può giungere alla vetta, alla notorietà…».
«Te» — aggiunse e la sua voce era un sussurro lamentoso — «quasi non ti conoscevo; non pensavo che mi sarei innamorato così di una donna! Troppo tardi mi sono accorto che avrei dovuto sacrificare tutto, te e me… Si, anche me stesso a questo sogno di gloria e forse, chissà, d’inutile illusione!».
Valeria lo guardava annientata; egli aveva ancora tanta forza dentro da urlare, sbraitare, pentirsi, fingersi pentito… Ed il loro amore liquidato così, con poche parole, distrutto per un attimo di irriflessione… Irriflessione? Non aveva egli fatto decisamente la sua scelta? Non credeva che si sarebbe innamorato tanto di una donna!… ma si era innamorato di più della missione segreta! Forse, là per là, vedeva solo i vantaggi da riscuoterne, la possibilità di emergere. Tanti fattori avevano giocato col destino. E adesso?
«Grazie, Marco, per l’amore che mi hai dato. Sai? forse avrò un figlio. Lo alleverò senza di te. Senza il padre, se riuscirò a sfondare il muro di cemento dell’orgoglio di famiglia» — pensava in un vortice di sensazioni terribili. «Ma perchè non mi escono le parole? Sto qui ad ascoltare questa enorme assurdità: egli deve partire quasi immediatamente per la sua misteriosa missione, per la quale non può contrarre matrimonio, che non può neanche spiattellarmi bene sul viso perchè non ne sa quasi niente neanche lui! Un avviso repentino, una partenza improrogabile, presaga di grandi avvenimenti futuri. Il futuro! Qual è il suo significato per me che mi sento ai limiti di ogni umana resistenza?».
«Valeria, rispondimi, amore! Ti parlo ma ho l’impressione che tu non intenda».
Marco le carezzò il viso, l’abbracciò, tentò di rovesciarla sul letto. Come un automa ella finalmente balzò su. Si ricompose, prese la borsetta, si volse verso la porta senza guardarlo: «Buona fortuna, Marco», — riuscì a dire, e stava per oltrepassare la soglia, quand’egli prepotentemente l’afferrò, la scosse torturandola, come per trasmetterle la sua disperazione. Disse: «Sono desolato, Valeria… Sarò anche colpevole, ma non posso, non voglio che ci lasciamo così. Anzi è meglio non usare questa parola: noi non stiamo assolutamente per lasciarci. Ci apparteniamo per sempre. Si tratta solo di una sosta. Ritorneremo ad essere felici. Promettimi che ti sforzerai di capirmi, di accettare questa situazione. Mi dovrai aspettare, dovessero anche passare dieci anni. Io vivrò nel tuo pensiero. Non ci sarà un’altra donna per me!».
Valeria, senza parole, ma con la precisa volontà di terminare quel colloquio, si slanciò di fianco, raggiunse l’uscio e giù a precipizio, lasciandolo perplesso, incredulo.
Marco Altieri era in preda ad un confuso stato d’animo. Forse in cuor suo aveva sperato che Valeria accettasse la notizia con più rassegnazione. Quale spavento, invece, aveva visto nei suoi occhi! un orrore fatto di disprezzo e di sofferenza. Dio, come l’amava! e non poteva ritornare sui suoi passi. L’accettazione della missione era avvenuta tre anni indietro e non se n’era più parlato. I «pezzi grossi» che lo avevano interpellato e gli avevano strappato il consenso facendogli firmare una quantità di carte, si erano come eclissati in un silenzio che, con gli anni, era diventato prima delusione, poi dimenticanza. A volte egli pensava che la missione fosse stata annullata per ragioni che gli sfuggivano o che addirittura si fosse trattato di una burla, per mettere in ridicolo il suo zelo, la sua puntigliosa preparazione, che, talvolta, aveva infastidito qualcuno nell’ambiente ospedaliero.

(continua…)