Felicita’. Desiderio infinito! Capitolo 2 (Parte seconda)

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Lo sentì esclamare, come se fosse la cosa più naturale del mondo:
«Con piacere! bene, bene!» — e prese gentilmente per un braccio Valeria, la quale, a quel gesto pieno di calore umano e di spontaneità, per la prima volta abbracciò la prospettiva di dare veramente una svolta alla sua vita. Velocemente pensò:
«Che mi importa di come andrà a finire? Senza Marco che mi importa del resto? Potrei scrivere segretamente al primario del suo ospedale, pregandolo di darmi notizie di lui, quando le avrà. Egli manterrebbe il segreto coi miei… Sono così bravi questi dottoroni a mantenere i segreti!»
Mentre di questi pensieri gravava la sua povera testa, si accorse che Stowe caricava i suoi bauli sulla macchina. Poi si rivolse a lei, chiamandola per nome e aprendole lo sportello posteriore. Era impossibile sottrarsi a quello sguardo; come un automa s’infilò nella macchina, che partì subito. Osservò Emily che dal finestrino, salutava ancora Rosetta, sventolando un fazzoletto.
Per lei ormai il dado era tratto. Aprì la borsetta, prese lo specchietto ed il pettine, si aggiustò il trucco, fatto in fretta prima di partire, e si accinse ad accettare gli eventi.
All’aeroporto gli attori, una ventina ad occhio e croce, formavano un gruppo sparso. Qualcuno passeggiava su e giù, ma non fuori dei limiti dove poggiavano i piedi tutti gli altri. Alcuni, stretti a due, a tre, chiacchieravano animatamente. Non si accorsero subito della venuta di Alfred e delle due donne, ma ben presto furono un gruppo solo Si salutarono cameratescamente e nessuno fece caso a Valeria: forse la presero per qualche comparsa o per una delle controfigure. Stowe, col suo solito fare semplice e sbrigativo, ma molto autoritario, propose di fare colazione prima di partire.
Valeria guardava quell’uomo con una sensazione che non riusciva a definire; pensava: «Un pezzo d’uomo, forte, gentile, il viso scuro rossiccio, come preso dal sole… un cow-boy . Guida gli attori come una mandria di buoi». Si divertì all’idea: «Anch’io adesso sono una giovenca nel gruppo».
Al ristorante, più tardi, gli artisti riunirono i tavoli, per stare tutti insieme. In ogni gesto, in ogni decisione, in ogni argomento collettivo, predominava il parere di Stowe, a cui pareva che nessuno osasse opporsi «Povera Emily» — pensò — «c’è il rischio che diventi la sua schiava!».
Ma Emily lo guardava con uno sguardo sereno e felice, talvolta pieno di adorazione. Valeria se ne stupiva, notando che nella comitiva c’erano fior di giovani attori.
«C’è quello all’angolo estremo della tavola, che ha una figura talmente atletica da far pensare ad un Tarzan. Bellissimo! Ma forse io non capisco un’acca di questo mondo. Forse Emily è innamorata del successo, del danaro e finge adorazione per l’unico uomo capace di dargliene. «Aurea sacra fames» — diceva Virgilio, biasimando la sete dell’oro — «Ma la vita, mio carissimo antenato, è tutta una trama di fatti che fingono il sogno, ma lo escludono dai loro calcoli. Si può sacrificare tutto, ma non l’arrivismo che rode il cuore degli uomini».
All’improvviso un giovane, vestito molto sportivamente, la interpellò: «Sempre così taciturna? Sei stata presa come comparsa o come, contro voce?». «In nessuno dei modi che tu possa credere. Sono un’ospite in mezzo a voi. Forse vorrò scrivere un libro ed ho bisogno di vedere molti aspetti della vita. Perciò vivrò un poco in mezzo a voi» — ripeté Valeria.
«Interessante» — fece l’altro — «però sei bella; vedrai che Stowe ti darà qualche parte».
«Ma che film farete a Taormina?».
«Non sei informata? Si tratta di un film drammatico: due amanti scappano da Torino, per non farsi ammazzare dal marito di lei che è un nobile. Si rifugiano in una Villa a Taormina, protetti da un magnate, che cambia loro nome e condizione e li fa vivere per qualche tempo in Sicilia… Poi ci sono gli intrecci, le complicazioni, le svolte, fino alla tragedia finale».
«Ho capito; ma non ho capito perché questo magnate lo farebbe… Con quale giovamento per lui?»
«Ah! come puoi capire? Guarda un po’ il nostro» — e alluse chiaramente a Stowe. — «E’ un sadico che si diverte a fare il prodigo: ricchissimo, imbastito di cultura, conosce quasi tutte le lingue; ci fa da regista, da tutore e da despota!» — e scoppiò a ridere. Valeria rimase pensosa, mentre l’attore Lando Giruzzi, che aveva così parlato, si allontanava per trovare delle sigarette. Intanto Stowe si alzava, seguito nel gesto da tutti gli altri, che subito gli fecero coda. Di lì ad un quarto d’ora erano sistemati sull’aereo che li avrebbe portati a Messina. A Valeria capitò di sedere accanto ad una ragazza quasi mora, che fumava ininterrottamente delle particolari sigarette, che prendeva da un elegantissimo astuccio. Aveva le caviglie e i polsi ingioiellati di cerchi lucenti, tempestati di pietre vive, molto colorate. In tutta la persona era una vitalità scattante, felina, che si condensava negli occhi mobilissimi e grandi.
«Questa farà la parte della pantera» — pensò Valeria divertita e si stupì che si fosse così distratta dai suoi pensieri. Non provava, in quel momento, alcun rincrescimento, pensando alla propria famiglia e soprattutto a zia Gemma, terrorizzata per la sua scomparsa. Tutta presa dalla imprevedibile avventura che le si stringeva d’intorno come un guanto, aprì un taccuino, a forma di diario, che aveva comprato all’aeroporto, e scrisse sulla prima pagina: «Diario di Valeria Bonatti». Alla pagina seguente scrisse la data e le seguenti parole: «Nel cielo di Firenze, in volo per la Sicilia. Sono le ore quindici del giorno 29 settembre, 1934. Non sono felice, ma libera».
Socchiuse gli occhi per fare un pisolino; istintivamente appoggiò le mani sul grembo e pensò al suo bambino, trascinato con lei nell’avventura di una nuova imprevedibile vita.
«Piccolo mio» — pensava — «sarai l’unico scopo della mia vita. E se un giorno ritroveremo tuo padre, giuro che dovrà essere fiero di noi!».
Non si pentiva di essere scappata, nella convinzione di aver sottratto suo figlio al disprezzo di tutta la famiglia e soprattutto ai castighi di zia Gemma. Ora si sentiva quasi serena, almeno non più ingombra di quell’angoscia che, fino ad un momento prima, l’aveva tenuta stretta come in una cappa di piombo. Era ormai certa che le conseguenze di questa sua pazzia sarebbero state più sopportabili dei rimbrotti di zia Gemma, della freddezza del padre, dell’incomprensione della madre, della cattiva disposizione di Olga. Intanto Emily riposava con la bella testa reclinata sulla spalla di Alfred, il quale, pur tenendo gli occhi chiusi ed un’aria soddisfatta, come se avesse fra le braccia la regina di Saba, dava tuttavia l’impressione di essere ben sveglio e di controllare tutta la situazione. «Anche dormendo ed amoreggiando, tiene tutti sottomessi ai suoi occhi socchiusi» — pensò Valeria. Per un momento immaginò con spavento che Alfred, dall’alto del suo danaro e della sua alterigia, potesse porre gli occhi sopra di lei. Poi sorrise sollevata e disse a se stessa: «Che stupida! faccio presto a dimenticare che io non sono più nessuno… e per giunta aspetto un bambino! Inutile che ti atteggi a schizzinosa, perché nessuno ti darà fastidio».
Quando l’aereo atterrò a Messina, Valeria pensò come avrebbe fatto a sistemarsi da qualche parte coi pochi soldi che aveva con sé. Emily sembrava del tutto distratta e svagata; non le faceva presentire una necessaria sicurezza. Invece, improvvisamente, la giovane attrice, rivolta a Stowe, disse: «Prima di pensare a noi, dobbiamo sistemare lei da qualche parte».
Alfred rispose tranquillo: «Ho già prenotato due appartamenti allo stesso albergo. In uno starò io e tu verrai a trovarmi quando vorrai e quando vorrò; nell’altro vi sistemerete insieme tu e lei».
Valeria aveva finalmente afferrato il modo di vivere dei suoi amici, perciò non la stupiva più niente. Rimase tuttavia perplessa: non le piaceva lo sguardo tagliente e scrutatore di Alfred, quando si posava sopra di lei. Avrebbe preferito stare divisa da Emily per timore d’incontrarsi con lui, quand’egli sarebbe venuto a trovare la sua bella. Non aveva voglia di spiattellare a nessuno la sua vita, tranne che ad Emily. Ma quale non fu la sua meraviglia quando finalmente furono in albergo per sistemarsi e prendere un po’ di respiro!
Nel migliore albergo della città fu consegnato a lei ed a Emily un appartamento di molte camere: una sala d’entrata con mobili in stile, un grande salotto, due camere da letto ben divise, ciascuna arredata di bagno, una terrazza ricca di piante fiorite.
«Ma questo è un paradiso!» — esclamò Valeria, mentre Emily, sorridente e divertita, soggiungeva:
«Vedrai come starai bene con noi! Ma dovrai prenderti cura di me, delle mie cose, del mio denaro: affido tutto a te».
Valeria aveva una espressione sospesa tra il piacere e la preoccupazione, Emily comprese a volo e la rassicurò:
«Non temere, Alfred mi vedrà fuori di qui. Ti lascerò tranquilla». «Grazie, oh Emily, come farò per ringraziarti?» — disse d’impeto Valeria. «Aspetta a farlo… Io spero solo che tu resti con me il più a lungo possibile».
«Ma perché?» — chiese meravigliata Valeria.
L’altra non rispose, ma assunse un aspetto triste, pensoso, che Valeria non le aveva mai visto, né poteva indovinare.
Poi, riscaldandosi immediatamente ed abbracciandola, Emily disse: «Avremo il tuo bambino, Valeria! Lo alleveremo insieme; sarà un poco anche mio».
«No!» — stava per gridare Valeria, ma si contenne a tempo, e strabiliata domandò: «Perché dici queste cose? Ti sposerai, magari proprio con Alfred, ed avrai tutti i bambini che vuoi…».
«Non è come credi. Io cerco di prendermela bene; dicono che ho un carattere forte… Io non posso avere bambini», disse poi d’un fiato.
«Che dici mai? Come lo sai?» — chiese smarrita Valeria.
«Sono più sventurata di te, non trovi? Ascolta la mia storia, adesso. Avevo appena diciotto anni quando rimasi incinta di Luigi, un ragazzo che diceva di amarmi… Scoperta la cosa, le nostre reciproche famiglie decisero la data delle nozze. Una brutta notte avvertii, molto prematuramente, i dolori del parto. Stetti malissimo e fui ricoverata d’urgenza. Mi trovarono l’utero malformato ed affetto da tumore. Me lo asportarono immediatamente; il bambino morì ed io finii quasi di essere una donna. Fui curata per anni da ottimi medici… Ho salvato la pelle, come vedi». «E Luigi non ti sposò?».
«No, cara. Si eclissò completamente; i suoi ritirarono la parola, perché non volevano che il figlio sposasse una donna sterile e malata». Valeria la guardava intontita, incapace di parlare.
Emily proseguì con tono ormai sciolto dalla commozione dei ricordi: «Come vedi, sono risorta! I miei genitori, con il loro affetto, alleviarono molto la mia sventura; mai un rimprovero uscì dalla loro bocca». Stettero un po’ in silenzio. Valeria sentiva che dentro di lei si placava quella specie di gelosia che l’aveva invasa alle prime parole dell’amica, sfortunata anche lei, in modo diverso. «Emily» — disse commossa — «avremo il nostro bambino e lo alleveremo insieme. Sei contenta?».

(Continua…)