Desiderio infinito! Capitolo 12 (Parte seconda)

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Nella sua mente si accendeva lacerante il ricordo di quando in America egli non aveva voluto rivederla; anzi non aveva neanche voluto salutarla un’ultima volta. E proprio mentr’ella respingeva per l’ennesima volta Adriano, tutta pervasa da una sublimità di rinuncia e di sacrificio! Ora la respingeva ancora per salvare l’avvenire di lei, costruendolo col suo sacrificio personale… Ma che bravo! Che grande eroe! Che uomo meraviglioso! Bastardo, disgraziato, ipocrita!
Se l’avesse amata veramente, avrebbe dato un calcio alla missione, qualunque ne sarebbe stata la conseguenza.
Sarebbe stato radiato dall’albo dei medici… avrebbe dovuto cambiare professione… Eh no! Sarebbe stato troppo per lui, per la sua insana ambizione! L’amore di Valeria contro una notorietà gloriosa, edificante!
«Ecco come ti sei edificato: sopra una sedia a rotelle!».
Mentre così farneticava, sentì bussare alla porta di casa e si ricordò che erano usciti tutti: la mamma, Olga, Nina ed il bambino. Allora si ricompose e si avviò ad aprire, ma passando per il bagno volle rinfrescarsi il viso sotto il rubinetto di acqua corrente; il campanello riprese a trillare. Aprendo si trovò di fronte il segretario comunale e la moglie. Li guardò con rancore, ma quelli quasi la scostarono per entrare, secondo la dimestichezza assunta con Olga, e chiedevano di lei, della signora Tilde, come in preda ad una grande allegrezza.
«Il patto d’acciaio è stato stipulato; l’ha detto un quarto d’ora fa la radio…».
Valeria capì ch’era il famoso «Patto di amicizia e di alleanza tra Italia e Germania» e si ricordò che quel giorno era il 22 maggio. Fece sedere gli ospiti in salotto, pregandoli di attendere: non avrebbero messo molto a tornare, perché erano col bambino. Dalla cucina, dove era per preparare il caffè, Valeria sentiva il vocione dell’ospite fascista che spiegava alla moglie il significato e l’importanza di questo patto:
«E’ stato firmato a Berlino, nella Nuova Cancelleria del Reich». Piena di malumore, Valeria pensò:
«Vorrei proprio che Benito Mussolini facesse quel capitombolo che diceva Alfred!…».
Poi si pentì di quello che aveva pensato, anzi se ne rammaricò, riflettendo che ormai tutta la vita nazionale dipendeva dai successi del Fascismo; che il contrario significava guai per tutti e si fece il segno della croce, come per scongiurare ogni pericolo.
Rincasate che furono Olga e la signora Tilde, Valeria si ritirò con il bimbo in camera sua, mentre gli altri, presi da un eccesso di euforia, ascoltavano dalla radio le ultime notizie degli ultimi avvenimenti. Ormai si vivevano momenti esaltanti nel clima di un impero che si affacciava anche, forse soprattutto, per radio, per esaltare il sentimento patriottico degli Italiani. Di esso, a menadito, anche la gente più incolta ricordava le grandi imprese decise dal Duce per la grandezza d’Italia. Nel 1936, con ritmo inarrestabile si era completata la campagna etiopica, con un susseguirsi di vittorie, che sembravano avere del miracoloso: dopo Adigrat, Adua ed Axum, conquistate nel 1935, già nel gennaio del 1936 si conquistava Neghelli; a febbraio, il massiccio dell’Amba Alagi e quello dell’Amba Aradam; ad aprile l’esercito italiano occupava il lago Ascianghi e la zona dell’Ogaden; nel maggio dello stesso anno le truppe italiane, al comando di Badoglio, occupavano Addis Abeba. Finalmente veniva proclamato l’impero, di cui diveniva imperatore Vittorio Emanuele III. La nuova storia d’Italia, costruita dal Duce palmo a palmo, inquadrava la nazione nobilmente nella storia del mondo.
Nel novembre del 1936 Mussolini, con atteggiamenti titanici, annunciava la costituzione dell’«Asse Roma-Berlino»; nell’ottobre del 1937 istituiva la Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), che comprendeva tutte le istituzioni giovanili dello Stato.
Il mondo s’inchinava ormai, di fronte ad un’Italia riscattata; nel gennaio del 1938 la Romania riconosceva l’Impero Italiano d’Etiopia e nell’aprile dello stesso anno anche dalla Gran Bretagna veniva all’Italia il riconoscimento sovrano sull’Etiopia.
A dicembre del 1938 la Camera dei deputati fu sostituita con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
La vita nazionale ferveva in una temperie di dinamicità e di entusiasmo, dove tutto si confaceva ad una politica esaltatrice delle capacità del Duce, erede dei destini di Roma. «… di Cesare/il genio e il fato rivivono nel Duce, Trionfator!» — diceva una sonora canzonetta ed erano tante quelle che esaltavano il Dittatore, che l’Italia aveva atteso da tanto, per salire la scala della dignità e collocarsi prestigiosamente tra le nazioni che «contano».
(Continua…)