Desiderio infinito! Capitolo 11 (Parte seconda)

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Lungo la strada che la macchina di Adriano percorreva lentamente, questi le chiese:
«Hai ascoltato per radio il discorso funebre su Gabriele D’Annunzio? E stato veramente bellissimo degno della grandezza di questo insigne scrittore italiano».
«No» — rispose mezzo stordita Valeria — «quando è morto?».
«Valeria, perbacco! Non mi dire che non sapevi ch’è morto D’Annunzio!».
«Quando è stato? Due giorni or sono: il primo del mese. Sai in quale mese siamo?» — disse divertito, con aria provocatoria.
«Si, so che è morto, ma che vuoi che me ne importi? Per quel che mi riguarda, è uno scrittore che non mi tira simpatia…».
«Perché amava le donne?» — disse ancora celiando Adriano. Valeria non rispose neppure: aveva visto il piccolo Marco giù, davanti al portone di casa insieme con Nina e la sua attenzione fu subito esclusivamente per lui. Quando il bimbo vide la madre si slanciò verso di lei, gridando:
«Mamma! mamma, è venuto papà da quel paese lontano?».
Adriano capì che il bimbo alludeva a lui, anche se le parole non erano state pronunciate molto chiaramente. Prese in braccio quel bimbo così bello, che non era suo, lo baciò e disse:
«Non sono il tuo papà; mamma non vuole ch’io sia il tuo papà!». Il bambino guardò imbronciato la madre e non capì perché quell’uomo non poteva essere il suo papà.
Valeria lo prese con sé e rivolse ad Adriano uno sguardo carico di rimprovero. Non lo invitò neanche a salire, mentre si avviava alle scale col viso inondato di lacrime.
«Mamma, mamma» — squittiva Marco — «Perché non è il mio papà?».
Arrivata sopra, col piccolo per mano, Valeria entrò nella sua stanza.
Sedette sul letto, prese dal comodino la fotografia di Marco e disse:
«Quante volte, debbo ripeterti che questo è il tuo papà?».
«E perché non viene?» — chiese indispettito il bambino.
«E’ ancora molto lontano; non ha terminato ancora quel lavoro che sta svolgendo…».
«Non è venuto mai a vederci…!» — rispose imbronciato Marco.
«E’ venuto una volta, ma tu dormivi» — mentì Valeria, e poi si chiese perché l’avesse fatto.
Il piccolo rimaneva palesemente scontento; alla fine si rivolse alla madre e testardamente disse:
«Io voglio subito un papà!». E non volle guardare più la fotografia; voleva ricordarsi di Adriano che aveva visto in persona e che subito gli era piaciuto!
Valeria trovò il modo di distrarlo, rimandandolo con Nina a giocare nel parco adiacente alla casa.
Rimasta sola, non riusciva a smaltire quel malumore che aveva dentro, che prendeva mano mano l’aspetto di una vera avversione contro Adriano. Esasperata, disse tra sé:
«No, no e poi no! Adriano non lo sposerò mai!».
Ed era come se avesse giurato, sulle ceneri di Marco, una fedeltà assurda, inconcepibile.
«Perché tanto astio contro Adriano?» — Se lo chiedeva lei stessa, tante volte, confondendo dentro di sé le sensazioni che le suscitava quell’uomo, che spesso assumevano sfumature piacevoli, che ella non accettava, in cui non voleva credere. In certi momenti di calma, profonda riflessione ella sentiva, non in senso retorico, ma reale, che Marco sarebbe tornato a lei e l’avrebbe fatta ancora soffrire; pure aspettava lucidamente questo momento, come soggiogata dalla forza di eventi che né lei né altri avrebbero potuto cambiare.
Tanti anni prima uno psichiatra, interpellato dal padre, per certi suoi disturbi nervosi, che aveva preso perciò a frequentare la casa, le aveva detto:
«Lei ha delle qualità straordinarie; di solito tanta capacità intuitiva definisce un soggetto sensitivo».
E la cosa si ripeté più volte, in quei due anni che quegli tenne in cura il dott. Andrea.
Valeria faceva dei sogni strani di cui ella stessa cercava di darsi le spiegazioni, di capirne i significati, che poi, puntualmente si avveravano. Una mattina, svegliandosi, disse:
«Ho sognato che verrà qualche persona importante a chiedere qualcosa a papà!». Tutti sorrisero increduli, ma nel tardo pomeriggio, rimasero fortemente sorpresi, vedendo arrivare un collega del padre, insieme col podestà, per invitarlo a far parte di una commissione civica, che doveva risolvere alcuni importanti problemi di igiene e profilassi.
Lo psichiatra, sempre più sorpreso di certe capacità precognitive di Valeria, la invitò nel suo studio per sottoporla ad un esame, dichiarando che ella aveva grandi capacità sensitive, per le quali avrebbe potuto studiare psichiatria e divenire famosa.
Valeria, allora rise divertita: era così giovane, non aveva ancora conseguito la licenza liceale e non sapeva a quale facoltà universitaria si sarebbe iscritta. Poi il dottor Andrea si era ripreso bene dal suo esaurimento e il medico fu congedato.
Ora si chiedeva perché si fosse ricordata di questi episodi fanciulleschi… Perché proprio adesso? Qualche associazione psicologica era scattata dentro di lei: si sentiva eccitata, forte, non piegata dagli eventi, pur tutti palesemente negativi nei suoi riguardi.
Sentiva che la sua battaglia non era vinta, ma neanche perduta.
Erano passati molti mesi da quando aveva rivisto Marco, pure ne ricostruiva l’immagine come dal vero e lo sentiva così vicino che il cuore le doleva.
«Se non mi ama più, perché la sua immagine mi perseguita? Io faccio di tutto per cancellarlo dai miei pensieri, ma, alla fine, lo ritrovo qui, davanti ai miei occhi».
Verso la fine di marzo, Valeria fece uno di quei sogni che le toglievano letteralmente la pace: si vide per una strada che presentava delle ampie fioriere ai margini, colme di oleandri, fioriti in molti colori. Ne fu lieta: a lei quei fiori piacevano tanto anche da sveglia.
Nel sogno camminava per una strada larghissima, che aveva termine in una vallata, che si apriva proprio di fronte. Non vi giunse, perché fu trattenuta da un grosso ramo che le alitava sui viso il suo profumo acre e dolciastro, come fatto di terra, profumata di strane essenze. Pensò che non correva pericolo di bagnarsi, perché aveva smesso di piovere, ma all’improvviso non vide più la grande vallata verde, ma una strada ferrata, dove poteva camminare con grande difficoltà, badando bene a mettere i piedi sulle strette traverse di legno.
Un frullìo d’ali la distolse facendole apparire una colomba bianca attraverso il cielo, che straordinariamente si fermava in senso verticale sul suo capo. La sua gioia era al colmo quando qualcuno tirò un colpo e la colomba cadde ai suoi piedi.
Si risvegliò, provando molta amarezza; non volle neanche analizzare il sogno. Si preparò in fretta e si recò in ospedale. Qui il professore Giovannini la pregò di sorvegliare attentamente il paziente n. 33, che usciva da un pesante choc.
La fortuna assistette lieta lei e l’ammalato, che prestamente si riprese e ricordò tutto di sé. Anzi, rivolto a Valeria, le chiese con gentilezza che fine avessero fatto i suoi libri e la sua cartella.
Valeria rispose che se ne sarebbe subito interessata e chiese, a sua volta;
«Di quali libri si tratta? Lei è un insegnante, forse?».
«Beh! Come potrei dirle? Sono uno studioso: psicologia e psichiatria…».
«Oh!» fece sorpresa Valeria e ripensò al suo sogno; forse il suo inconscio si era tuffato nel passato nell’imminenza d’incontrare un altro psichiatra.
Nei giorni seguenti si trattenne ancora con il paziente 33 e trovò che la sua conversazione era piacevole ed interessante.
Lo psichiatra Antonelli, professore all’Università di Zurigo, conquistato dai modi e dall’efficienza di Valeria, soprattutto dalla sua serietà, le volle dare il suo biglietto di visita col suo indirizzo pregandola di accettare la sua amicizia.
Non era ciarliero, ma molto comunicativo; così Valeria in breve tempo seppe ch’era italiano e sposato, che aveva un amore di bimbo che si chiamava Roberto, che abitava in Svizzera ed era venuto a Napoli per motivi di studio. Aveva una bella villetta, nella quale la invitava a trascorrere le sue ferie. Valeria, spinta da una spontanea familiarità, gli raccontò la storia della sua vita.
Sorpreso dall’equilibrio mostrato da Valeria, pur in tante sventure, Antonelli le disse:
«Se decidesse di lasciare Napoli, per trovare un ambiente sereno e distensivo, se ne venga in Svizzera. Potrebbe diventare una mia collaboratrice e dare al suo bambino una famiglia meravigliosa, per la semplicità dei costumi ed il tranquillo tenore di vita.
Venga, venga a conoscere la mia Rosa; sono convinto che ne nascerebbe una grande amicizia».
Valeria ringraziò e promise che ci avrebbe fatto su un pensierino, per non deluderlo subito.
Andando via, passò per lo studio di Giovannini e lo trovò in conversazione con Adriano, mentre agitava un telegramma tra le mani.
«Valeria» —. disse il professore — «Stavo appunto per farla chiamare; ho delle notizie che la riguardano, che io purtroppo non dovrei dirle, secondo la volontà di Marco… Ma adesso pare che le cose stiano cambiando… Quel cervellone di “Maximus” è riuscito a metterlo seduto su una sedia a rotelle. Marco ha dato palesi segni di un buon miglioramento, anche se rimane paralizzato negli arti inferiori».
Valeria vide la stanza girare velocemente intorno a lei, barcollò e sarebbe caduta, se prontamente Adriano non l’avesse sorretta.
Si riprese con grande forza d’animo per saperne di più, ma Giovannini le disse compiacente:
«Per ora non sappiamo altro. Qui» — disse toccando il telegramma — «dice che segue lettera con dettagli. Aspetteremo serenamente».
Per Valeria, quella giornata, le emozioni non erano finite: a casa trovò una lettera di Emily, che con frasi entusiastiche e termini altisonanti le annunciava la parziale guarigione di Marco e il suo rientro in Italia – «tutto fatto da John, tutto fatto da John!» — Marco sarebbe stato rispedito in Italia nella città e nell’ospedale da lui stesso indicati.
Il cuore di Valeria era bene esercitato alle emozioni violente, altrimenti non avrebbe potuto reggere a tanto. Pensando, pensando
una paura folle la invase.
Se Marco ancora non volesse accettarla e si facesse spedire in una altra città, quanto più lontano da lei?
Un odio furibondo prese il posto della paura, verso l’unico uomo che aveva sempre amato.

(Continua…)