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STRUTTURA INGOLFATA, LE IMPUGNAZIONI VANNO RIVISTE NON ABOLITE­­

In un’aula di tribunale sono tanti i drammi che ogni giorno si rappresentano.

Vi sono quelli degli uomini imputati. Quelli delle persone offese. Vi è quello della macchina giustizia, farsa di se stessa.

Nel processo gli interessi che si intrecciano sono diversi e molteplici. Tra questi quello del suo stesso svolgimento e della sua durata.

Il sistema giustizia, però, è ormai talmente gravato da un numero così elevato di domanda di accesso ad essa che è difficile non equipararlo ad una “fabbrica”  di giustizia. L’accortezza e la cura per il singolo prodotto cede il passo alla lavorazione in serie nella quale l’errore rientra nel rischio statistico accettabile.

L’errore viene messo nel conto e nella previsione di pareggio di bilancio- come qualsiasi altra fabbrica- rispetto alla necessità di garantire che la macchina funzioni senza intoppi, con tempi di produzione accettabili, con un’allocazione delle risorse e della forza lavoro proporzionata alla materia.

La giustizia diventa servizio! Ai residui spazi dell’equità e della prudenza si aggiunge, preponderante, l’efficienza. Non va persa di vista “l’efficienza nella gestione della massa dei processi”, si blatera nei palazzi.

Da fuori il portone, il cittadino prega e spera che “l’efficienza nella gestione della massa non faccia perdere di vista la finalità di un giudizio equo”!

E’ vero che i dati numerici danno attualmente il senso di come si sia lontani da un modello di giustizia tempestiva ed efficace. Per i giudizi di secondo grado e presso la Suprema Corte siamo assai discosti dalle prescrizioni della Corte Europea dei Diritti Umani.

Di qui, però, mettere mano- nelle attuali condizioni e senza muovere altro- alla riforma della giustizia pensando che il primo (forse unico) rimedio sia quello di eliminare addirittura alcune forme di impugnazione, sola occasione – e pallida speranza- per rimuovere i tanti errori che il “sentenzificio” italiano produce, è operazione da orbi in malafede.

Le impugnazioni vanno riviste e rivisitate.

Non vanno aboliti gradi di giudizio.

Nelle varie fasi di giudizio, infatti, è la cultura della prova che ha il giudice a dover subire una rivoluzione copernicana, affidando lo ius dicere definitivamente ai fatti e tralasciando finalmente l’interpretazione fuori dalle camere di consiglio.

Fintanto che tale sarà il metodo (e tale sarà il numero di cause, nonché la facoltà di accesso a pronunciamenti giudiziari) il cittadino sarà costretto a continuare ad esperire un secondo grado di giudizio per sperare di ottenere una “diversa interpretazione” ed un terzo grado di giudizio per sperare di ottenere la “giusta interpretazione ed analisi della o delle precedenti interpretazioni”.

Tantè! E chi fa finta di ignorarlo vive su Marte…

Doppio grado, insomma, non significa doppione, ma ancora una volta germe immunitario, inoculato nel sistema per la salvaguardia di se stesso evidentemente da un legislatore lungimirante, più saggio, ma soprattutto realista.

Cecchino Cacciatore